Ci sono almeno 340 milioni di buoni motivi per i Sensi per vendere la Roma. A tanto ammonta l’indebitamento consolidato del gruppo, secondo le stime più recenti, nei confronti delle banche. Il debito, recentemente rinegoziato, è per la maggior parte nei confronti di Unicredit, che con l’acquisizione di Capitalia ha ereditato i rapporti della famiglia proprietaria dell’As Roma con Banca di Roma. Per avere un’idea di quanto possa essere pesante, basta un’occhiata alla situazione del gruppo nell’ottobre scorso, prima della rinegoziazione con le banche e dopo l’approvazione del bilancio della Roma 2000, srl della famiglia che detiene la partecipazione nel calcio. I debiti al 30 giugno scorso sono di 185,6 milioni di euro, ma nei bilanci ci sono anche prestiti infragruppo per cui la società ha 51 milioni di crediti verso altre realtà del gruppo Sensi.
Le banche creditrici sono due: oltre a Unicredit, c’è anche Antonveneta, che ha concesso un mutuo nel 2002 e che ha in pegno una parte delle azioni della Roma (il 2,75%) e ipoteche su un complesso della famiglia fatto di terreni e fabbricati tra Orvieto e Piegaro, in Umbria; ma anche un palazzo a Roma. Alla stessa banca, in corso di acquisizione da parte di Montepaschi, fanno capo anche un finanziamento da 5,2 milioni e un conto corrente scoperto per 6,7 milioni. A gestire i rapporti con i Sensi per conto delle banche è però Unicredit. E proprio con la banca di Profumo gli scoperti di conto corrente assumono proporzioni imbarazzanti. Sono circa 140 milioni distribuiti su sei conti diversi (53,7 erano concentrati in unico conto, il 77852-59) dunque esigibili a breve. Ma grazie agli accordi del 2004 – quando Banca di Roma prese il 49% di Italpetroli e di fatto operò il salvataggio del gruppo – non vengono applicate su questi conti le commissioni di massimo scoperto. E dunque l’interesse pagato da Roma 2000 è l’Euribor più l’1%, tasso di gran favore per un normale correntista ma che data la situazione del gruppo Italpetroli non è comunque facile da gestire. Tra ipoteche, pegni e fidejussioni – compresa una da 51 milioni concessa da Franco Sensi sul proprio patrimonio personale – Antonveneta si è cautelata e il valore delle garanzie supera di gran lunga l’esposizione. Banca di Roma un po’ meno, diciamo. E solo 105 milioni su 140 sono coperti da garanzie. La Roma 2000 ha perso 5 milioni nell’ultimo esercizio e il revisore non ha firmato il bilancio, ritenendo che non esistano i presupposti per la continuità aziendale. Una situazione pesante, alla quale la rinegoziazione ha posto un freno temporaneo. Solo un freno però, perché la sostanza dei rapporti è rimasta la stessa.
Nel dettaglio, sono stati fissati nuovi obiettivi per la riduzione dell’indebitamento in cambio dell’opzione sul 2% che avrebbe permesso al gruppo bancario di diventare primo azionista dell’Italpetroli. Detto questo, per Rosella Sensi e il resto della famiglia vendere la partecipazione nella Roma è una necessità, più che una questione di volontà. Il problema è quanto vale, piuttosto. Secondo i bilanci della Roma 2000, il 66% vale circa 64 milioni. Sul mercato ne vale tre in più, ma soprattutto grazie alla forte speculazione che ha portato il titolo a raddoppiare di valore in pochi mesi (ieri un altro balzo del 14% a 1,16 euro). L’unico contatto reale finora è quello con la Inner Circle, società di consulenza finanziaria che però non si sa bene per conto di chi agisca. Forse Soros, più probabilmente qualche altro investitore interessato a mettere soldi nel calcio. Degli sceicchi di Dubai va detto che sono gli unici ad essere usciti allo scoperto, ma ieri i Sensi hanno detto di non aver avuto «alcun contatto» con loro. Dall’altro lato, per conto dei Sensi, sta lavorando Rothschild – che in realtà qualche contatto con gli arabi lo avrebbe avuto – per le cessioni e la Banca Finnat per la parte di ristrutturazione finanziaria. In attesa di un nuovo padre-padrone per Totti & C.
Da LA STAMPA