Scrivo, con il cuore in mano.
Mi ricordo tanti anni fa, ero più piccolo e seguivo il calcio in maniera del tutto ingenua, innocente e piena di amore e di aspettative, come solo un bambino può fare. Chiedevo a mio padre: “per quale squadra tifiAMO?” come fosse una cosa genetica, di padre in figlio, come dovessi continuare una tradizione di famiglia. Mi ricordo la maglia bianca di quel giorno, ricordo che ero felicissimo di vedere la partita fra mio padre e mio fratello, anche lui piccolo, ma più grande di 4 anni. Ricordo la felicità negli occhi di mio padre a vederci lì, vicino a lui, sul divano, ad esultare senza neanche capire bene cosa stesse accadendo, perché il richiamo del sangue che scorre e ribolle nelle vene é inarrestabile. Le prime maglie regalate, le sciarpe, i palloni, calendari. Tutto Giallorosso. I primi segni del fatto che i risultati della Roma avrebbero influenzato tutta la mia intera settimana successiva, allora come oggi. Ero piccolo, innamorato, ed avevo la certezza che il calcio fosse la cosa più bella e giusta del mondo, credevo che fosse tutto bello, pulito e giusto. Dai pianti, i primi da Romanista, allo Scudetto. E giuro, giuro sul mio sangue, mio padre mi ha insegnato ad esultare per la mia squadra, non contro quella avversaria. Poi sono cresciuto, tra gli sfottò e le domande con gli amici: “è più forte Totti, Del Piero o Adriano?” E ognuno si teneva stretto il proprio. Ma tutto continuava ad essere giusto, bello e pulito. Poi cresci ancora. Le cose vanno in un certo modo, la squadra che ami sembra sempre lottare fino alla fine, con il cuore, ma mai abbastanza; ma tu ci credi, vanno male, sei triste e poi ti riprendi, perché il calcio poi é così. La speranza rimpiazza la delusione nel tempo stesso in cui quest’ultima arriva. Quando sei bambino, almeno. Non ero più un bambino, poi, quando é caduto il cristallo. E nulla é più stato uguale. Generazioni segnate da un assassinio, l’uccisione di un sogno, di una speranza. Una speranza chiamata calcio. Parlo di quella vergogna chiamata “Calciopoli”, cosa che nessun padre ha mai potuto spiegare ai propri figli. Tanti colpevoli, pochi puniti, penalizzazioni inspiegabili agli occhi di un bambino, in tv parlano di carcere e squalifiche. I bambini non capiscono. “Era tutto deciso?“, la domanda che rimbomba nella testa e nel cuore di ogni bambino. Una domanda che ha macchiato l’animo di intere generazioni di innamorati, a cui risulterà per sempre difficile credere nella buona fede, a cui riuscirà difficile vedere il calcio come bello, giusto e pulito. E’ quel pensiero che è nella testa di quelle “vittime”, TUTTE, che hanno visto e vissuto quel “processo”, in cui probabilmente più di qualcuno è rimasto impunito, quel pensiero che recita, “ma vuoi vedere che lo stanno rifacendo?“. Un pensiero che dovrebbe essere silenzioso, ma che esplode ogni volta come un urlo. Vorremmo tutti credere al contrario, sempre, vorremmo avere più fiducia, vorremmo davvero che ci venisse naturale dire, a fine partita, “va be’, sono in buona fede“. Eh no. E’ l’ultimo dei pensieri. Ricordo che, quando ero bimbo, mio padre aveva sempre qualcosa da ridire sulla Juventus, un’antipatia particolare, che non riuscivo a capire. Poi mi sono informato, ho capito, ho capito il perché di quell’antipatia, la cicatrice ancora viva di una ferita profonda e dolorosa. La sensazione di essere impotenti, la sensazione di rassegnazione che troppo spesso pervade tutti noi tifosi della Roma. Tutto vivo, sempre più vivo. Capisco perché mio padre, quando ero bimbo, mi catechizzava ad una frase: “noi vinciamo poco, ma quando vinciamo vale più di qualsiasi altro successo“. E con il tempo ho capito, ho capito anche quella commistione di orgoglio, fierezza ed amarezza. Riprendendo le parole che ripeteva sempre, e che ripete fiero e spinto dalla speranza che pervade qualsiasi tifoso, bambino o adulto, nonostante le delusioni, ogni volta che la Roma dava segni di “rinascita”, vi dico: “Forza Roma e forza Lupi, so finiti i tempi cupi“.
Un’eredità bellissima, nonostante tutte le delusioni, nonostante il dolore, nonostante le sensazioni che non vorremmo vivere mai. L’eredità più bella.
Questa speranza, questo sogno, non lo ucciderete mai.
Forza Roma, sempre.
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