Aleandro Rosi è stato intervistato dal Corriere dello Sport. Qua sotto riportiamo i passaggi importanti della sua intervista:
Nel 2006 Spalletti disse: “Tra due anni vedrete chi è Rosi”. Siamo arrivati al 2011. Chi è Rosi?
“Un ragazzo che si impegna, consapevole delle qualità che ha, e che mira a diventare un grande calciatore”.
Perché non ha rispettato i tempi di Spalletti?
“Avevo 19 anni, lessi quella frase mentre ero in vacanza. Ero immaturo, mi feci prendere dall’agitazione, intuendo quanto fosse difficile per un giovane esplodere a Roma. In più da tifoso sentivo troppo questa maglia. E così è cominciato il mio giro”.
Chievo, Livorno, Siena.
“A Verona è stato un anno difficile. Era la prima volta che mi allontanavo da casa, c’era Iachini che non mi trattava bene, diciamo che è stato un periodo utile per formare il carattere. Livorno invece è stata decisiva. Acori mi utilizzò da esterno basso, dove già mi aveva provato Spalletti. E conquistammo la promozione dalla B. Infine è arrivata la serie A a Siena: con Malesani e con Sella, che già conoscevo, ho fatto una bella stagione”.
Poi il ritorno alla Roma.
“Ma è stata dura anche qui. Non ero sereno, sia per colpa mia, sia perché Ranieri non mi dava tranquillità. Inoltre l’ambiente non credeva in me. Vedevo il buio attorno”.
Nasce in questo contesto psicologico lo sputo a Lavezzi?
“Sì. Anzi approfitto di questa occasione per chiedere scusa a tutti. E’ stato un brutto gesto di cui mi sono pentito. Non accadrà più una cosa del genere”.
Dall’estate, da quel cucchiaio sbagliato su rigore in amichevole, è cambiato tutto: si vede un altro Rosi.
“Sono cresciuto tanto negli ultimi mesi. Cresciuto come uomo. Sarei pronto a fare una guerra per la carica che ho dentro”.
Ormai è un titolare della Roma. Sorpreso?
“Mah, non so. In ritiro ho capito che avrei potuto giocarmi le mie carte, perché c’era un progetto adatto ai giovani. E perché Luis Enrique è un allenatore che fa giocare chi merita. A lui devo tantissimo, mi dà sempre i consigli giusti: per lui entrerei in campo anche senza una gamba”.
Avverte l’ansia di un ruolo definito?
“Niente ansia. Semmai motivazioni superiori al solito. Nessuno mi ha regalato nulla, ora devo sfruttare la mia occasione”.
I risultati si vedono: per la prima volta si è sentita la mancanza di Rosi quando è capitato l’infortunio alla caviglia.
“Ovviamente mi fa piacere. Come mi fa piacere sentire gli applausi dei tifosi o leggere gli elogi sui giornali. Però io ho sempre creduto che prima o poi ce l’avrei fatta”.
Nemmeno per un attimo ha mollato?
“Mai. Ho pensato a lavorare di più e a migliorare i miei comportamenti. Adesso faccio una vita da atleta”.
Imitando quale modello?
“Maicon. Nel mio ruolo è il migliore. Da piccolo invece stravedevo per Cristiano Ronaldo. Erano i tempi in cui giocavo più avanti”.
A proposito di modelli, non le ha suscitato un pizzico di invidia crescere all’ombra di Totti e De Rossi?
“Assolutamente no. Non mi paragono a loro, che sono la storia della Roma”.
Totti è il capitano di oggi, De Rossi il capitano di domani, Rosi può essere quello di dopodomani?
“Magari. Per me giocare nella Roma è un sogno. Fosse per me, resterei a vita. Anche se mi chiamassero Barcellona o Chelsea, metterei sempre davanti la Roma”.
Eppure ha cominciato con la maglia della Lazio.
“Avevo nove anni, la Roma non prendeva i bambini di quell’età. Ma non mi sono trovato male, mica ero l’unico romanista: nello spogliatoio eravamo tutti giallorossi… Poi quando ho compiuto 11 anni è arrivato Bruno Conti a casa, chiedendomi se volevo cambiare. Come potevo dirgli di no?”
Indosserebbe ancora quei colori se le circostanze lo richiedessero?
“No mai. Alla Lazio non potrei andare”.
Tra i titolari della Roma è quello che guadagna meno: 250.000 euro netti. Giusto così?
“Adesso penso a stare bene. I soldi non sono tutto nella vita”.
Rosi sarà ancora alla Roma quando il progetto sarà vincente?
“Me lo auguro. E spero di essere più forte di adesso”.
Dov’era il 17 giugno 2001, giorno dello scudetto?
“Facevo il raccattapalle all’Olimpico, per Roma-Parma. Avevo 14 anni. Ricordo l’abbraccio al capitano dopo il gol”.
Il capitano adesso è il suo capitano.
“La prima volta che mi sono allenato con Francesco ho pensato: che ci faccio qui? Adesso è un amico e un punto di riferimento”.
L’amicizia nel calcio esiste?
“Certo. Io ho un fratello nello spogliatoio: Stefano”.
Cosa sogna per il suo futuro?
“Nel calcio o nella vita?”
Partiamo dal calcio.
“Vincere. Uno scudetto a Roma da calciatore sarebbe incredibile”.
E nella vita?
“Una famiglia. Tra una decina d’anni però. Adesso amo solo una donna”.
La Roma?
“No, mia madre Anna. E’ lei che mi ha messo al mondo, è lei che ha scelto il mio nome”.
Aleandro: perché?
“Avrebbe voluto chiamarmi Alessandro ma era troppo ordinario. Allora ha scelto”.