Rassegna Stampa | Il Messaggero | Thomas DiBenedetto dovrebbe diventare sia presidente che azionista di maggioranza della nuova Roma.
Ma secondo quanto riporta Il Messaggero, nella documentazione mancherebbe la prova della ”tracciabilità” dei fondi riconducibili al socio di Red Sox e a un altro dei cinque investitori: Julian Movsesian.
Nel piano degli americani Thomas DiBenedetto dovrebbe diventare, oltre il presidente della Roma calcio, l’azionista di maggioranza relativa: avrebbe circa il 60% del 60% della ”DiBenedetto As Roma llc”, spendendo per parte sua, tra la quota parte del 67% del club e l’opa, 40,7 milioni sui 112 milioni complessivi. Ma nella documentazione fino a ieri sera pervenuta a Rothschild, secondo quanto risulta a Il Messaggero, mancherebbero la prova della ”tracciabilità” dei fondi riconducibili al socio di Red Sox e a un altro dei cinque investitori: Julian Movsesian, di professione assicuratore. Per essere più precisi, le garanzie ricevute da DiBenedetto non sarebbero complete e gli sono state chieste ancora integrazioni. Degli altri tre co-investitori, invece, Michael Ruane, James J. Pallotta, socio della squadra di basket Celtics, Richard D’Amore che dovrebbero dividersi più o meno in parti uguali il restante 40% della ”DiBenedetto As Roma llc”, non ci sarebbero problemi, avendo fornito tutte le credenziali. Stamane sarebbe in programma una nuova riunione in conference call fra Roma e Milano, allargata fra Paolo Fiorentino, Piergiorgio Peluso, i membri del consiglio di Roma 2000 (Attilio Zimatore, Rosella Sensi, Antonio Muto), i legali degli studi Grimaldi e associati, Carbonetti, Lovells e i banchieri della Rothschild.
Considerando il fuso orario, ci si augura che quando in Italia è notte, a Rothschild possano arrivare le ultime carte mancanti, relative a DiBenedetto e Movsesian: si tratta della prova dell’esistenza dei soldi da investire con la certificazione che queste risorse i due personaggi effettivamente le abbiano accumulate con la propria attività. Un eccesso di zelo? Solo cautela e prudenza, fidarsi è bene, andare coi piedi di piombo dopo il caso-Fioranelli, è meglio. Nel vertice di oggi può succedere di tutto, nel senso che se la documentazione fosse ritenuta idonea, Zimatore, Sensi e Muto potrebbero convocare seduta stante un cda straordinario e deliberare l’accettazione dell’offerta con la concessione di 30 giorni di esclusiva. Fino al 15 marzo c’è tempo per fare il contratto definitivo e se possibile, alzare il prezzo. Poi la firma, la richiesta dell’ok all’Antitrust e in parallelo la convocazione dell’assemblea a cavallo di Pasqua. E se invece le carte fossero insufficienti? Può succedere di tutto. Quasi escluso che Unicredit decida di rompere con gli americani: piuttosto ieri sera, accanto a una ulteriore proroga dei tempi, faceva capolino l’ipotesi che per rafforzare i cinque investitori Usa potrebbero arrivare partner italiani. Sì, quegli investitori che in base agli accordi fra Unicredit e il gruppo Usa sarebbero potuti entrare all’interno del 40% di piazza Cordusio. Secondo il ”patto” fra Unicredit e gli americani, infatti, la banca si impegna a restare solo col 5% girando il restante 35% ad altri partner graditi agli Usa in base alla compatibilità col piano industriale da sviluppare nei prossimi cinque anni. E che oltre a garantire una squadra forte per restare in Champions League, prevede una crescita del fatturato da 130 a 180 milioni. L’offerta presentata dagli americani valuta il 67% della As Roma 77 milioni – da suddividere sempre tra il 60% a loro e il 40% a Unicredit – più 35-40 milioni per l’opa, più una ricapitalizzazione da 40 milioni del club da fare al momento dell’ingresso nella società e altri 40 milioni di rafforzamento patrimoniale nel giro di qualche anno.