Rassegna Stampa – Il Romanista – Consoliamoci pure, basta averne la voglia, con i guai dell’Inghilterra e dellaGermania o, meglio ancora, con la tragicommedia della Francia. E magari esercitiamo la memoria, ricordando in certi casi l’orrore, in altri il mesto grigiore, di tanti gironi eliminatori anche in mondiali (compresi, eccome, quello di Spagna nell’82, ma anche l’ultimo) in cui, alla fine, l’Italia l’ ha fatta da campione. E se tutto questo non basta guardiamo avanti: in un modo o nell’altro, salvo eventi calcisticamente calamitosi, è più che probabile che il turno l’Italia lo passi, e a quel punto le cose, come è sempre successo, miglioreranno. Benissimo. Lo faremo. Ma in cambio esigiamo formalmente che si smetta subito di romperci le scatole con le chiacchiere insulse sull’”Italia operaia“. Prima di tutto perché (vedi quello che si sta consumando a Pomigliano e dintorni) la questione operaia è una cosa maledettamente seria, e non è il caso di evocarla tanto a sproposito. E poi perché l’Italia che abbiamo visto ieri con i campionissimi della Nuova Zelanda (e, se è per questo, pure quella che avevamo visto lunedì scorso contro il popolare paraguagio) non è una squadra operaia. E’ una squadra disperante per mediocrità e assenza di gioco e di idee. Potrà ritrovare se se stessa, e prima ancora la strada che porta a quell’inezia denominata gol, senza la quale il gioco del pallone perde non solo il sapore, ma la sua stessa sostanza? Forse sì: come abbiamo accennato, è già successo, in passato, un’infinità di volte. Ma come questo ritrovamento possa mai avvenire, speranze nello stellone d’Italia a parte, non sapremmo proprio dirlo. Soprattutto non sapremmo dire a chi mai bisognerebbe affidarsi per cercare di rintracciare il bandolo della matassa. Lo diciamo un po’ tutti: non c’è nulla, nel nostro gioco, che abbia qualcosa da spartire con un lampo, un’intuizione, una pensata. E se tutto questo manca è perché non c’è nessuno che abbia illuminazioni di questo tipo. Non ci sono, tanto per essere chiari, né Totti né Cassano: e assenze simili, già difficilissime da giustificare in assoluto, diventano colpevoli in un mondiale dal tasso tecnico così basso da far dubitare che anche il calcio sia minato da una crisi di cui non si intravedono gli sbocchi. E’inutile piangere sul latte versato (da Lippi). I giocatori sono questi, e possiamo solo tenerceli incrociando le dita. Intanto, però, un obiettivo minimo ce lo poniamo. E Lippi una mano può, anzi, deve darcela. Perché, lo giuriamo, nessuno di noi ha commesso peccati così gravi da meritare pene durissime come la visione diGilardino, che ha ridotto da dieci a cinque metri il suo campo di (inutile) gioco; o di Marchisio, alla cui vista ci si stringe il cuore per l’assenza di Perrotta; o degli insopportabili resti calcistici di Camoranesi. Per lo meno, non continuiamo a farci del male.