Il Barcellona, quando il Chelsea stava già pensando al Colosseo. Il Barcellona, quando l’Inghilterra stava aggiornando il suo curriculum di miglior football del mondo con la seconda finale di Champions made in Premier di fila. Il Barcellona… A Roma con il Manchester United ci va il Barcellona. E fa bene ripeterselo come un mantra, perchè a Londra ancora non ci credono. Al 93′ il Chelsea vinceva 1-0, e quelli, i blaugrana erano in dieci, senza aver mai tirato in porta. I Blues avevano dominato, grandi grossi e brutti com’erano stati dipinti, i «Barca Globe Trotters», quelli che con una dote di 146 gol stagionali (e con questo sono mostruosamente 147) s’erano fatti incartare per 180 minuti buoni da quel mago apolide che è Guus Hiddink. E soprattutto il distillato di meraviglia che ti aspetti da Messi era rimasto costretto in un tiro al volo di Essien dopo 9 minuti. Un solo limpido colpo perfetto, creato dal nulla di un rimpallo del caso: dal limite dell’area, una palla che si impenna sulla schiena di Tourè e l’uno a zero sotto la traversa. Insomma c’era il destino avversario del Barcellona, ancor più che il Chelsea. Richiamava la pioggia del Luzhniki, quando un anno fa s’infangò il rigore decisivo di Terry. A Roma non ci sarà il replay, e questo è quanto. Perchè al 93′ Iniesta colpisce di leggero esterno e mette all’incrocio l’ultimo pallone del match. Altro che i coriandoli del solito Barca show. Una botta tremenda, che manda tutto all’aria. È l’uno a uno che cambia tutto. Tanto che il Chelsea non ci capisce più niente, e si butta avanti per altri lunghissimi 3 minuti di recupero spacca-cuori. Nei quali il mediocre Ovrebo infila pure un rigore (almeno il quinto…) non fischiato agli inglesi. Alla fine la baruffa è fisiologica. Drogba, già sostituito, è una furia: aggredisce l’arbitro nel tunnel, urlando in mondovisione una serie di improperi facilmente riassumibili in «vergogna». Ma tant’è. Semifinale al contrario, con quell’armata della fantasia che è la squadra di Guardiola affogata in un fossato inglese. Senza difesa i blaugrana ma il problema è paradossalmente davanti: non c’è Henry, ma Iniesta non è proprio una schiappa. Eppure Cech sta lì a guardarsi da lontano, impalpabile e sfibrato, il miglior attacco della Champions. Valdes invece deve lavorare un bel pò per tenere vive le speranze di qualificazione dei suoi, soprattutto nel primo tempo. E se una volta Drogba si fa anticipare in uscita, la seconda Terry manca l’angolo di testa per pochi centimetri. Il resto è una pressione che parte da lontano, contropiede a folate, senza che il Barcellona riesca a dare velocità alla sua manovra brevettata. Sono dolori invece quando partono quelli, i brutti in teoria. Drogba, al 7′ della ripresa viene servito da Anelka, dribbla il suo marcatore e strozza il sinistro: Valdes si salva, ancora una volta. Non si salva Abidal: al 21′ fa inciampare Anelka che incrocia lanciato a rete, Ovrebo decide per il fallo (dubbio) e se ne frega del ritorno di Tourè. Ultimo uomo e via, espulso. In dieci, il Barca smette di ragionare e si incolla il pallone ai piedi. Solo che non c’è uno spiraglio, niente. Esce Drogba, infortunato, per Belletti. E poi Ovrebo decide di prolungare l’agonia spagnola evitando di fischiare due rigori, più o meno netti, per il Chelsea: una spinta di Tourè su Anelka, e un fallo di mani di Piquè. Il Chelsea domina, Guardiola (che virtualmente eliminato, a 2 minuti dal 90′, se ne sta lì a scherzare con Hiddink…) prova Bojan per gli ultimi cinque minuti. Che diventano sei e poi sette. Segna Iniesta, esplode la partita. Etòo la colpisce con un braccio al 96′, l’arbitro fa finta di niente e manda il Barcellona a Roma. In finale con il Manchester, per un Europa senza monopolio inglese.