Devo ammettere che ieri mi sono avvicinato con grande e spero comprensibile curiosità al match: volevo proprio capire che si diceva in Curva. L’ultima volta all’Olimpico era stata una vittoria, con una Curva che aveva voluto dimostrare al mondo di essere pronta a una pazienza illimitata,costi quel che costi. Poi proprio due risultati storti, quei bizzarri numeretti che determinano la sorte delle squadre di calcio professionistico secondo strani sistemi graduati che determinano la permanenza in determinate fasce di competitività e che orientativamente vanno dal Campionato per Club all’Interregionale, sembravano aver gettato nello sconforto una piazza che ormai, è ormai assodato, non riesce più ad avere un’anima unica dal lontano giorno in cui le banche sono entrate a far parte della vita del tifoso romanista.
Volevo assolutamente vedere con i miei occhi la reazione della gente che non conosco ma che è come se lo facessi in quei 90 minuti, gente appassionata che non smette di cantare un istante, gente che di lunedì sera si è presentata orgogliosa nonostante tutto, contro il traffico dell’uscita del lavoro, contro il traffico dei fancazzisti di Natale, contro il traffico dei blocchi della municipale decisi probabilmente da un signore coi baffi alla Stalin in uniforme rosa e la terza elementare intasca ma soprattutto contro gli esseri più infami che, per quanto mi riguarda, ho mai avuto il dispiacere di affrontare allo stadio.
I nostri nemici pubblici sportivi numero 1 si erano infatti presentati qui in parecchi, partendo dalla lontana terra natia onorando il vecchio detto “Juve in trasferta, Calabria deserta!”. Si perché quest’anno hanno rialzato la testa. Peraltro grazie a un uomo che quando ero ragazzino in testa aveva un’ascella e che adesso che io comincio a guardarmi allo specchio per scoprire qualche segno di alopecia va in giro con un mocio vileda di poliestere. Meraviglie della tecnica. M’encanta.
Già perché quest’altra gente è stata coinvolta, ma forse dovrei anche aggiungere da protagonista assoluta, in tutti gli scandali più vergognosi della storia del calcio degli ultimi anni… che pure sono stati pregni di episodi che definire inverecondi sarebbe una specie di buffetto sulle guanciotte paffutelle dell’attuale Yokozuna. Ma adesso bando alle ciance e giù con l’adrenalina.
Stadio pieno, in Curva non c’era spazio nemmeno per buttare in terra un cerino, la Tribuna Tevere (ad onor del vero discretamente munita di juventini infiltrati) era un muro. Uno striscione esposto dalla Sud recitava “172 volte vaffanculo!”, presumo in riferimento alle multe comminate ai ragazzi trovati in possesso di cartoncini gialli e rossi dopo Roma-Lecce. Un altro: “La crisi dei valori non si cura con i dottori della legge! Ultras fuori dal gregge!”. Cosa vuol dire? Sbizzarritevi. Io preferisco fare solo una riflessione un po’ amara sulle evoluzioni stilistiche che sono ormai opportune per farsi approvare gli striscioni. La partita inizia e si mette bene dopo pochissimo. Come al solito si vede poco (grazie a quei dannatissimi doppi tabelloni pubblicitari che guarda caso sono vietati in Europa mentre si chiude un occhio per quanto riguarda le competizioni nazionali) ma dopo soli 5 minuti l’uomo più discusso degli ultimi 2 anni segna un gol che a dire il vero è una “sciocchezza sesquipedale” del buon Vidal (che avrà senz’altro ricevuto una bella lavata di capo negli spogliatoi… vabbè la smetto! Giuro! Anzi, spergiuro!). La Curva esplode. Non se l’aspettava davvero nessuno! Com’era possibile che una botta di culo così clamorosa stesse capitando proprio a noi!?! In tutta la mia vita non mi ricordo di una cagata così macroscopica accaduta contro una cosiddetta “grande”. Credo di averla vista fare una dal vivo ultima volta con un gol in Europa League contro l’Amburgo. 1 a 0, Gianni Gigou. Novembre 2000. 11 anni fa. Ma all’epoca fu colpa del portiere.
Forse anche la nostra squadra bambina non si aspettava un vantaggio così repentino e per i primi 10 minuti dopo il gol riesce a non capitolare solo grazie ad un paio di interventi in tackle da Omaha Beach di Daniele De Rossi, accompagnati dai ruggiti del pubblico accortosi che l’urto bianconero non è proprio di quelli che uno si aspetterebbe normalmente il lunedì sera davanti al filmone in prima serata di Sky. Il pubblico urla e sbraita appena la Juve decide di buttarsi in avanti, in qualche modo contribuendo a tener lontano le minacce da Stekelenburg. Credetemi, potrei arrivare a dire che se la Roma ha retto in quei frangenti lo ha fatto anche grazie al fatto che la Juve per attaccare doveva arrivare fin sotto una Curva Sud che pareva l’Etna in eruzione.
Passa qualche minuto e la Roma bambina prende un po’ di consapevolezza di quello che deve fare e comincia ad abbassare leggermente il ritmo riuscendo però anche a costruire qualche altra occasione. Nonostante ciò qualche patemino in Curva lo si continuava a passare, anche perché ogni tre per due o provavano a scendere Estegarribia e Pepe o scoppiava una mina antiuomo dentro ai tunnel dell’Olimpico. Mi son sempre domandato che mestiere gratificante dev’essere quello dell’operatore della ristorazione durante la partita.
Finisce il primo tempo senza recupero, la gente è su di giri e molti commentano stupiti il fatto che Luis Enrique sembra aver snaturato il suo credo pur di presentare una squadra in grado di giocarsela. Giudizi positivi, quasi paterni su Viviani… grandi elogi per DeRossi, opinioni contrastanti per Lamela (c’è chi dice che è un ragazzo che dona movimento alla manovra e c’è chi dice che fa troppi falli e non ci sta colla testa… secondo me sono vere tutte e due le cose, per ora.). Viene notata anche la prestazione positiva di Taddei, che ormai sembra avere un duttilità tale da venir utilizzato al posto del sale un po’ in tutti i piatti della mensa di Trigoria. C’era però poco tempo per rifiatare perché tutti in quel catino erano ben consapevoli che il secondo tempo sarebbe stato un inferno da superare.
Il secondo tempo inizia subito, la Curva parte forte provando a sostenere la squadra in quello che sembra disegnarsi come un secondo tempo giocato meno all’arma bianca da entrambe le squadre. Alla Roma fondamentalmente andrebbe pure bene così (infatti in più di una occasione si vedono i giallorossi temporeggiare quando è ora di battere qualche punizione o rimessa), alla Juve meno. Si sente gente strillare che è il momento di fare possesso palla, altri che urlano che è ora di far entrare Tizio o Caio, insomma si capisce chiaramente che la gente non ci sta capendo assolutamente una cippa sul da farsi. Per fortuna la Roma sembra avere le idee più chiare e cresce anche perché comincia ad accendersi Totti. Qualcuno si accende anche un grosso sigaro e a un certo punto decide che è ora di ciccare in campo. Essendo notoriamente vietato ed essendo i seggiolini dotati di comodi posacenere a scomparsa l’arbitro pensa bene di interrompere un’azione di Pjianic sicuramente destinata agli annali del calcio.
La Roma continua a concedere pericolosi uno contro uno agli esterni di Ascella Conte, fino a quando non viene uccellata dal classico gol del cacchio con uno Stekelenburg che possiamo definire non impeccabile nell’uscita.
La gente è ammutolita, mentre i calabresotti in bianco e nero cominciano a lanciare petardi, fumoni e oggettistica varia nei confronti della popolazione della Curva Nord, ma dalla Sud si notano soltanto i cricetini in pettorina gialla che saltano e scappano a più non posso dalla zona calda. Che gran cosa che ci sono gli steward. Insomma un bel casino ma poi quanto passa, un minuto? Ed eccotela qua l’occasione per vincerla davvero. Che serata storica sarebbe stata. Un’impresa d’altri tempi che avrebbe salvato definitivamente (almeno fino a fine gennaio) il sedere di un allenatore che era arrivato alla partita di stasera col trolley negli spogliatoi.
Io mi fermo qui. Il resto è stato solo sofferenza. Fino al 96esimo. E alla fine ti tocca dire pure che è stato un punto d’oro.
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