«La lettera è, in qualsiasi epoca, il genere falsificabile per eccellenza», afferma Luciano Canfora quasi ad apertura di questo suo excursus storico proprio sulle epistole contraffatte, da quelle relative a Pausania a una celebre usata al processo a Gramsci. «Nelle condizioni di minore possibilità di tutela dell’autenticità proprie del mondo antico, questo rischio è molto alto – aggiunge lo studioso – Ma in specifiche situazioni, pur in epoche dotate di maggiori strumenti di controllo, il rischio si ripresenta». Ecco così che nel marzo 1928 nel carcere di San Vittore Antonio Gramsci e Umberto Terracini ricevono due strane lettere firmate Ruggero Grieco. Una terza, destinata ad un altro leader comunista arrestato, non viene consegnata. Mancano poche settimane al grande processo contro i dirigenti del Partito comunista italiano e la lettera di Grieco viene messa a frutto per aggravare la pena detentiva inflitta ai tre. A questo episodio, dopo oltre cento pagine di indagini storiche sui vari falsi d’ogni epoca, è dedicata la seconda e più corposa parte del libro. Si trattò di una leggerezza cospirativa? Forse. Di sicuro intercettata e prontamente utilizzata dalla polizia politica. Gramsci ne parla nella sua corrispondenza come di «una strana lettera» e ricorda, scrivendo alla cognata Tania Schucht, che il giudice istruttore, consegnandogliela, aggiunse testualmente: «Onorevole Gramsci, lei ha degli amici che certamente desiderano che lei rimanga un pezzo in galera». Dall’inverosimile lettera di Pausania spartano al re di Persia, ai discorsi che si leggono nella Storia di Tucidide, alla lettera di Bruto fatta passare per falsa, alle lettere in questione di Grieco a Gramsci, vere ma false, perchè scritte appositamente per giuochi di potere da cui tener lontano il leader in prigione, al celebre testamento di Lenin, inghiottito per anni dalla macchina di partito, questo studio di Canfora raccoglie esempi stupefacenti di doppi giochi e trucchi testuali utilizzati per deviare o favorire un certo corso della lotta politica. Si comincia appunto con la lettera che Tucidide attribuisce a Pausania, capo degli Spartani e tra gli artefici della vittoria sui persiani, che al re sconfitto Serse offrirebbe i suoi servigi, proponendogli anche di sposarne la figlia. Lettera che, assieme a una risposta, che si dice interessata di Serse, servì per condannare a morte Pausania, appena tornò a Sparta. In questa indagine Canfora gioca sempre sull’interpretazione testuale, e l’analisi delle lettere di Grieco, comprese altre precedenti e successive, lo dimostrano con procedura coinvolgente e affascinante, inserite come poi sono nella storia del Pci e nella storiografia partigiana del partito, che anche quando si libera di certi pesi, come con Spriano, cerca di far quadrare comunque il cerchio e salvare, come si dice, capre e cavoli. Canfora ci introduce in un mondo in cui i lapsus, i periodi che si ingarbugliano e gli errori di scrittura si rivelano preziosi indizi per cercar di rivelare scottanti verità e farci capire come, da sempre e in ogni epoca la fabbrica del falso sià sempre stata considerata uno strumento cui ricorrere. Certo è che il falso porta in sè, per il filologo Canfora, la sua autocertificazione di inautenticità, più o meno ben nascosta. Perchè, insomma, il vero è sempre un’altra cosa.