GQ ha intervistato Pablo Daniel Osvaldo, il centravanti della Roma:
Sono arrivato a 20 anni. Un freddo cane, la neve, l’albergo in mezzo al nulla, circondato dai silos di Zingonia. Arrivato in camera, ho iniziato a piangere. Fu dura. Non c’era un solo argentino, uno straccio di uruguaiano. Ero lontanissimo da casa, i compagni ridevano tra loro ed io non capivo nulla di quello che dicevano, stavo diventando paranoico, credevo ridessero di me. Poi mi integrai…a volte basta uno sguardo, le parole non servono. Se non avessi fatto il calciatore o avrei fatto musica rock o blues, o lo scrittore. Scrivere poesie o canzoni mi piace. In passato rispondevo di voler arrivare a giocare a calcio e con sguardi storti mi dicevano “e se non arrivi?”, rispondevo duro: “Non esiste. Io arrivo”.
Con i miei amici gioco in porta, hanno la pancia, ma se perdiamo mi levo i guanti e vado avanti. Non mi piace perdere. Riguardo l’affetto delle gente, posso dire che ogni tanto vorrei essere una persona qualsiasi, per andare in una piazza. Ed in Italia è impossibile. A Barcelona potevo farlo, con un mio amico che faceva ritratti mentre io suonavo. Bella e affascinante la semplicità. Nel calcio in Italia non c’è via di mezzo. Un giorno sei da scudetto e quello dopo da rogo. La mancanza di equilibrio mi fa infuriare, però non posso farci niente. E non ho voglia di fare niente. Il pubblico pagante ha sempre ragione? ma neanche per sogno. Io perdo una palla e tu mi vomiti addosso il tuo odio? Non è normale”.
“Io pago. Tu hai sbagliato il gol. Ti fischio”, dice l’intervistatore…
E quindi se il tifoso sbaglia al lavoro posso andare a picchiarlo, gettargli una banana o dirgli che sua madre è una poco di buono? Bella logica.
Gay nel calcio?
“Non siamo nell’Alabama del ’50, ma sul tema siamo indietro. Avere un compagno gay non mi cambierebbe proprio niente. Sono persone libere, prima che calciatori”
Denuncerebbe un compagno, se lo scoprisse a vendere le partite?
“Ciò che succede nello spogliatoio deve restare lì. Io non faccio il delatore, ma non mi volto. In silenzio, lo ammazzo di botte“.
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