E’ ferragosto e, nonostante le vacanze e l’estate siano nel pieno, la nostra testa è sempre li, sulla Roma, su chi arriva, su chi parte, su “Osvaldo non mi piace” “Nilmar si“, su cosa succederà in questa stagione misteriosa della squadra che tanto affligge i nostri pensieri di tifosi e calciofili e tanto riempie le nostre vite.
Fa caldissimo e in casa porto il condizionatore a 23 gradi. 23 come il numero di Mirko Vucinic che se n’è andato per scelta, per costrizione forse, spinto da una parte di tifoseria che dopo un periodo di calo lo ha aggredito con quella smodatezza che non fa mai bene al calcio. Ora siamo qui a rimpiangerlo, a rimproverare Sabatini di averlo venduto a poco e a guardarci intorno spaesati di fronte a due 3-0 che tuonano roboanti come nel peggiore degli incubi da cui speriamo di svegliarci al più presto. Diciamolo onestamente, in cuor nostro ci aspettavamo qualcosa di più anche se è ancora presto lo so, è solo l’inizio, la campagna acquisti deve terminare, ci vuole tempo per assimilare gli schemi, è un progetto a lungo termine, bisogna dare fiducia alla nuova proprietà. Tutti concetti condivisibili, rispettabili, per carità ma c’è una cosa che come al solito mi suona male: a Roma, chissà perché, non si riescono mai a fare le cose con chiarezza, buonsenso e, lasciatemi passare il termine, con intelligenza. Prendere Luis Enrique senza una rifondazione vera di una squadra logora, vecchia è come prendere un funambolo dei birilli e dargli in mano una corda, è la fine, il disastro. Voglio immaginare che in questo circo di brillanti dirigenti messo in piedi da Di Benedetto ci sia la consapevolezza delle possibilità o meno di poter allestire una squadra congeniale ai meccanismi e moduli di gioco dell’allenatore spagnolo. Perché se così non fosse sarebbe da folli pensare che con la vecchia guardia, qualche giovane della primavera e quattro acquisti (Bojan, Lamela, Heinze, Angel, Stekelenburg) che hanno rimpiazzato altrettante partenze (Vucinic, Menez, Mexes, Riise, Julio Segio, Doni neanche lo prendo in considerazione) si possa costruire un Barcellona made in Rome. Il rischio anzi è quello di forzare una formazione arrangiaticcia e inadatta ad una filosofia di calcio che altrimenti può di essere più nociva che altro e i primi segni si sono già visti.
Lo sappiamo, arriveranno altri acquisti e come al solito passeranno altri giorni, altri titoli di calciomercato che ci faranno innervosire, sognare, altre polemiche, altre accuse, altre lunghe e misteriose attese aspettando le partite che verranno in questa strana e calda estate romanista.
Marziale