“A quel punto il collaboratore della Federcalcio mi disse come fare a ingannare le regole. E assicurò che avrebbe contattato il mio presidente Mezzaroma per spiegargli come non pagare la quota a carico del Siena“.
Nei verbali della giustizia sportiva si materializza un altro scandalo del pallone. Le scommesse e i risultati combinati non c’entrano. Si tratta di una trama di mediatori e funzionari sleali che arriva al cuore del problema: l’incapacità del calcio italiano di fare pulizia al suo interno. E questo nuovo imbroglio va a soffocare le risorse che potrebbero far resuscitare il gioco più amato: i vivai giovanili delle squadre minori.
Il meccanismo è semplice: quando un calciatore cresciuto nei dilettanti esordisce in serie A o in Nazionale, alla società che lo ha svezzato spetta un emolumento in denaro. La cifra dipende dagli anni di militanza e varia tra i 18 mila e i 100 mila euro. Con quei soldi, tra i dilettanti, si tira avanti una stagione: ossigeno puro per un universo di club minuscoli in bancarotta costante. La partita dei premi di formazione vale globalmente alcuni milioni di euro.
Ma si scontra con un problema formale: ricostruire con i documenti ufficiali la storia anagrafica di un ragazzo diventato campione non è semplice. Gli archivi informatizzati esistono soltanto dal 2000 e spesso l’unico modo per risalire ai primi anni di carriera è ricorrere all’autocertificazione. E’ questo il varco sfruttato da alcuni per contaminare la regola virtuosa. Costringendo i calciatori a mentire. Garantendo denaro per il disbrigo della pratica. Ponendosi come intermediari tra le parti. eArrivando prima di altri a informazioni che solo chi lavorava in Federcalcio poteva consultare. Con scarsa fantasia gli addetti ai lavori parlano di “Premiopoli”. E’ in questa sciarada di rimborsi, carte bollate e mezzi silenzi che si nasconde una “Calciopoli” di retroguardia, che potrebbesplodere con imprevedibili danni collaterali. La procura federale ha aperto un’inchiesta, contestando la violazione di tre articoli del codice di giustizia sportiva. Ma i primi investigatori che si sono occupati del caso sono stati allontanati e tra pochi giorni il tempo per l’indagine terminerà. Mentre se gli atti dell’istruttoria venissero trasmessi alla magistratura ordinaria si potrebbero ipotizzare reati molto gravi: truffa, falso in atto pubblico e appropriazione indebita. Tutto però resta nei cassetti di Stefano Palazzi, il grande inquisitore del football.
Autocertificazione birikina.
Per lungo tempo i premi agli allevatori di fuoriclasse sono stati trascurati o ignorati dalle società d’origine. Poi all’improvviso le grandi squadre sono state sommerse dalle richieste, inoltrate dai piccoli e gestite dalla Federazione. In moltissimi casi, si basavano su una autocertificazione in cui il neocampione dichiarava di provenire dal campetto di una provinciale. Una delle pratiche rilette poi dagli investigatori è quella di Federico Marchetti, il portiere a cui il bel campionato del 2010 vale il Mondiale sudafricano da titolare al posto dell’infortunato Buffon. Rientrato a Cagliari, Marchetti entra però in rotta di collisione con il presidente Cellino. Vorrebbe trasferirsi alla Sampdoria ma nell’attesa, finisce fuori rosa. Perché? Mistero. Ma molti parlano di una sua autocertificazione, con una firma su cui si addensano sospetti, che attesta il passato giovanile nella Radio Birikina Luparense e che ha fatto infuriare il presidente sardo Massimo Cellino, costretto a versare 50 mila euro a vantaggio della Birikina, formazione padovana di prima categoria.
Dopo una crescente serie di segnalazioni e voci, l’indagine sul rebus dei premi viene aperta da due investigatori della superprocura calcistica guidata da Stefano Palazzi: il sostituto Marco Mattioli e un collaboratore esperto dello stesso ufficio, Giovanni Grauso. I due ascoltano dirigenti, presidenti, debitori e creditori. Mettono in luce tasselli, ombre, menzogne, guadagni illeciti e contraddizioni. Scoprono che la pratica Marchetti è stata curata, come molte altre, da un 38enne toscano, F. F.: “l’Informatore”. Nell’operazione i giocatori, eventuale veicolo del delitto e parte lesa, non guadagnavano un euro. Lo facevano altri: “Premiopoli” è una storia di soldi e di strane figure professionali.