Ranieri: “La Roma ora è ripartita. Abbiamo tutto per vincere”

18/10/2010 – Rassegna Stampa – Il Romanista – Mister, benvenuto. “Grazie per avermi ospitato. Io sono un lettore del Romanista. Ho sempre detto che non leggo niente però poi le cose le so sempre. L’allenatore deve essere così.”

La Roma è ripartita?
Sì, siamo ripartiti, l’ho detto dalla partita di Brescia. Da quella gara sono tornato a “sentire” la squadra, prima avevamo dei problemi. I ragazzi si allenavano benissimo ma non riuscivamo a rientrare in sintonia col campionato e questo è un fatto che ci può stare dopo la grande rincorsa che avevamo fatto lo scorso anno che era stata stupenda grazie ai giocatori, al grosso aiuto che ci ha dato il pubblico. L’anno scorso si era creata questa simbiosi che è fondamentale tra pubblico e squadra: credo che lo sia sempre in generale, ma a Roma è ancora più vero perché il trasporto che ti sa dare il pubblico di Roma è unico. Nei momenti difficili, quando c’era bisogno di del supporto del pubblico i tifosi ci sono sempre stati e la squadra lo ha percepito. Quest’anno volevamo partire da dove avevamo lasciato e purtroppo non ce l’abbiamo fatta, ma non c’è un colpevole di questa situazione perché nello sport può succedere. Ogni anno si deve ricominciare da capo, ci devono essere delle alchimie, dei percorsi mentali anche all’interno dello spogliatoio: lì è la quadratura di tutto. Siamo un gruppo stupendo ma non riuscivamo ad ingranare, dalla partita di Brescia, dove abbiamo perso come tutti hanno visto, ho ritrovato la squadra. Da quel momento ho detto ai ragazzi: «Adesso andiamo».
Che cosa è successo a Brescia?
Prima dicevo ai giocatori che c’erano delle cose che non andavano, non chiedetemi cosa. Un allenatore agisce in base a delle sensazioni, che non sempre sono razionali e poi magari non si possono spiegare. L’arbitro non c’entra, perché io «Adesso andiamo » l’avevo detto prima della partita e non dopo. Le avversità uniscono, ma io mi chiedevo: «Quando scatterà la molla per ripartire?».
Una molla da cercare dentro. Un atteggiamento tipico della Roma.
Anche Pizarro un mese fa ha detto di non voler ripetere l’esperienza di tre anni fa, quando dopo un grande campionato e lo scudetto sfiorato, la squadra fallì l’annata successiva per colpa dell’inizio di stagione. Non so se è una caratteristica della Roma, però è successo.
Qual è stato il momento più brutto?
Quando non vinco per me è sempre brutto, non c’è stato un momento peggiore di altri. Io non ci sto mai a perdere. Non ho mai temuto che qualcosa si fosse rotto. Ho un grande gruppo, e l’ho detto dopo una settimana che ero qui, un gruppo sano e compatto. Finché li vedo lavorare in questo modo, come stanno facendo, io sono tranquillo, anzi, sereno perché so che la squadra c’è. Finché vedo che i ragazzi rispondono alle sollecitazioni per me va bene perché vedo che c’è un rapporto di fiducia con la squadra. Questo c’è sempre stato, l’ho sempre sentito. A Roma quando si perde va tutto male, quando si vince va tutto bene: non è così. Ci sono delle problematiche sia quando si vince sia quando si perde.
Il confronto dopo Basilea è stato un momento di ripartenza?
Lì è scoccata un’altra scintilla perché i giocatori sono entrati nella consapevolezza del momento. Il rapporto dei giocatori ce l’ho quotidianamente: singolo, a reparti, in gruppo, per cui è sbagliato quando si parla di confronti.
Si è detto anche che dopo Napoli la squadra fosse in autogestione.
E io andavo solo a prendere lo stipendio? Meno male…queste cose non le ho lette davvero, però mi arrivavano parecchi messaggi da parte degli amici.
Menez.
Dopo lo scorso anno abbiamo chiarito tutto con lui. Quando si fermava in mezzo al campo me lo mangiavo, l’ho affrontato a modo mio e cioè a muso duro. Poi però ti rendi conto che è un ragazzo d’oro. Ma sono con tutti così, io le cose le dico in faccia, anche a muso duro. Io non faccio mai un rimprovero fine a se stesso, non ho mai rimproverato un giocatore dopo una partita persa per un errore, ma bisogna analizzare le situazioni individualmente e con la squadra perché sennò non si cresce mai. Per me Menez è un giocatore stupendo, però c’è un altro aspetto che va considerato.
Quale?
I giocatori francesi provengono da un campionato totalmente differente, non dico migliore o peggiore, del nostro. Lui aveva fatto benissimo al Monaco, si sentiva una stella, non è facile arrivare in Italia e non ingranare come vorresti. Il mio secondo Damiano è stato il responsabile di Clairefontaine, la Coverciano francese. Lì si prendono i migliori giovani e li fanno allenare dal lunedì al venerdì, quando li restituiscono ai club per farli giocare. E lui ne ha visti tanti di ragazzi francesi: Henry, Vieira, Trezeguet lui li ha seguiti quando avevano 14 anni e mi ha sempre detto che il giocatore francese quando viene in Italia troppo giovane non ce la fa. Ecco perché Henry e Viera sono andati via».
Pastore, Hernanes e Menez. Chi è il più forte?
Io Menez lo metto al primo posto. E’ il miglior giovane del campionato italiano. Deve riuscire a dosare bene le sue forze. Dopo la gara con la Juventus ho parlato con lui, gli ho chiesto se era stanco visto che non lo tengo mai in campo per novanta minuti. (ride) Per me lui fa innamorare il pubblico, noi addetti ai lavori dobbiamo fare innamorare il pubblico, poi è logico che un allenatore ha anche il compito di far quadrare i conti. Lui è un perfezionista, non si vuole bene: si incavola come un pazzo se sbaglia un passaggio e questo non va bene perché poi si abbatte, si colpevolizza. E questo non va bene.
Come si fa a conciliare, Menez, Totti, Vucinic, Borriello e Adriano?
Tutti quanti insieme non si possono conciliare. Nemmeno il Brasile mette tutta que-sta carne al fuoco. Ho sempre detto che la rosa della Roma è più competitiva perché ci sono dei giocatori di grossa importanza per poter sopperire a eventuali deficit, squalifiche o scadimenti di forma di un giocatore. E’ una cosa che soltanto le grandi squadre hanno. Finora la filosofia della Roma è stata quella di avere 12-13 giocatori e poi tutti ragazzi che accettavano senza problemi la panchina. E’ la cosa più semplice… ma noi vogliamo tentare di costruire qualcosa per il futuro e pensare in grande o vogliamo restare sempre così? Tutti sono contenti, l’allenatore fa giocare sempre i soliti, poi se va bene ok, sennò è uguale… Ma questo non è pensare in grande, non significa tentare di costruire qualcosa che possa combattere con le superpotenze del nord. Questo è il mio modo di vedere. Ci sono dei giocatori importanti che però in una grande squadra devono saper stare lì… Se alla fine dell’anno oppure a Natale le cose non gli staranno bene, allora verranno, busseranno e chiederanno di andare via.
Per il momento qualcuno lo ha chiesto?
No, per il momento non lo ha chiesto nessuno. Che poi non siano contenti quando non giocano è normale, ma guai se non fosse così. Non ti faccio giocare e sei contento? Questo non deve succedere mai…Vi giuro che non è un problema per l’allenatore, perché se io ho un giocatore arrabbiato e la volta dopo lo metto in campo, dovrebbe spaccare il mondo.
Totti si è arrabbiato quest’anno?
Non si è mai arrabbiato. Si può dispiacere sul momento, anche arrabbiarsi, ma poi finisce tutti. E’ un ragazzo splendido. Io col capitano ho un grande rapporto, come con tutti.
Ci racconti bene il rapporto con Francesco, visto che è stato romanzato tanto.
Non so più come dirlo… E poi voi avete spie ovunque, arrampicate sui muretti di Trigoria, lo vedete che rapporto ho con i giocatori. Lui è un supercampione e un ragazzo modello, è un ragazzo di una semplicità e di un’onestà intellettuale altissima. Io sono fatto così, noi ci confrontiamo e io a volte gli rispondo «A Francè, ho sbagliato, ma che non posso sbaglià?» e poi tutto finisce qui.
Il nostro giornale ha ospitato un articolo di Michele Baldi in cui scrive che gli manca il sorriso di Francesco.
Non credo che gli manchi il sorriso, a lui mancava il gol. Io voglio che loro vengano al campo sempre col sorriso, perché col sorriso si lavora meglio e si produce di più. Francesco è molto aperto, molto franco, le sue battute le fa sempre.
E’ un campione abituato ad essere determinante.
E’ sempre determinante per noi, è un punto di riferimento. Segnare quel calcio di rigore a Torino in pieno recupero non è per tutti, sono pochi quelli che hanno la freddezza per riuscirci.
Ha cambiato ruolo?
No, ma sta dando tutto per la squadra. Noi abbiamo visto che a livello internazionale le squadre più forti sono quelle in cui gli attaccanti sono i primi difensori e aiutano il centrocampo, sennò non si va più da nessuna parte. Nessuno si può tirare indietro da questo discorso. Il giocatore che dice – e Francesco non dice assolutamente questo, il mio è un discorso generale – che deve rimanere lucido e non lavora per la squadra, è un giocatore in meno. Quella è una scusa bella e buona, se uno non è lucido sotto porta deve allenarsi di più. Francesco non ha cambiato ruolo, è la Roma che gioca in maniera differente: ci sono una punta e un centrocampista in meno, per cui dobbiamo tutti partecipare alla riconquista della palla. Totti sta giocando nella stessa maniera, solo che non essendoci più un giocatore nel ruolo di incursore che era di Perrotta, non abbiamo più un punto di riferimento. Dobbiamo riuscire a fare gli inserimenti da dietro, come hanno fatto a Torino Grecoe Simplicio: quando giochi con un centravanti dai un riferimento all’avversario, coi giocatori che s’inseriscono da dietro no.
Per questo con la Juventus ha tenuto fuori Borriello?
Ho voluto togliere un punto di riferimento a Chiellini e Bonucci per poter entrare a sorpresa nella difesa bianconera.
Greco al posto di Brighi per lo stesso motivo?
Greco sta giocando benissimo e Matteo non sta al massimo dal punto di vista fisico, per questo ho preferito continuare con lui. Brighi ha rischiato di farsi male, per questo ci ho pensato tantissimo anche prima di mandarlo in campo. Voi tante cose non le sapete, ma un allenatore deve guardare tutto. Voi avete più visto De Rossi allenarsi? Io no, io lo vedo solo giocare. Si allena giocando. Gli ho detto: «Non mi giocare in Nazionale» e lui mi ha risposto: «A mister, ma come faccio a dirlo a Prandelli?». Ora va tutto bene ma senza allenamento prima o poi calerà, non si è mai allenato. Sta crescendo perché per fortuna la partita è un allenamento, però se tu giochi solo poi le qualità principali scendono, è inevitabile. Se tu non ti alleni, non ce la fai a tenere sempre quel ritmo. Nell’ultima partita con la Juventus stavamo comunque meglio di loro.
La preparazione è stata oggetto di discussione.
Voi siete convinti che la preparazione sia stata più morbida? Le corsette le facciamo sia io sia voi, ma quelle che fanno i ragazzi, noi non le facciamo nemmeno col motorino. E’ chiaro? Tanto tempo fa i maratoneti prendevano il ritmo sulla soglia aerobica, andavano sulla soglia aerobica-anaerobica e non andavano mai in aerobia. Avevano quella soglia lì e chi faceva il miglior tempo vinceva. Pian piano hanno cominciato a dare degli strappi, a fare i cambi di passo e chi non si adeguava perdeva. Il gioco del calcio è una maratona o è fatto di scatti?
Di scatti.
E allora perché devo allenarli a fare la maratona? Datemi delle risposte…questi fantomatici preparatori mi devono dare delle risposte.
Ma lei ha sempre lavorato così o ci è arrivato col tempo?
Ci siamo arrivati con il tempo, ma per i giocatori è la prima volta. Loro si aspettavano le corse lunghe perché erano abituati a fare questo lavoro, noi lavoriamo diversamente. La preparazione è importante ma l’aspetto mentale è fondamentale. Ogni volta che sono subentrato su qualche panchina mi sentivo dire che la preparazione fisica non andava bene perché i ragazzi non stavano in piedi.
Anche alla Roma?
Anche alla Roma. Ma non era vero. Era la testa che non stava bene. E’ successo a Parma, a Roma, ovunque. L’aspetto mentale è importante perché poi si prendono fiducia, coraggio, entusiasmo e queste cose possono arrivare solo con l’entusiasmo.
Si può programmare in modo di arrivare al top in determinati periodi?
Un bravo preparatore deve riuscire a mantenere la squadra in un grande stato di forma il più a lungo possibile. Non dobbiamo stare al massimo in un solo periodo, non dobbiamo mica fare le Olimpiadi, non ci giochiamo tutto in 15 giorni. Noi ci giochiamo tutto in 11 mesi: non esiste una preparazione che possa tenere un giocatore in forma per 11 mesi.
Con i risultati è tornato anche il gioco? La Roma di inizio stagione giocava male…
Noi facciamo molto possesso di palla, perché mi piace e i ragazzi si divertono. E se si divertono i ragazzi si diverte anche il pubblico. La partita di Torino in questo senso è stata bellissima.
Dicono che lei è difensivista.
Portatemi tutte le squadre che ho allenato e andate a vedere quanti giocatori erano preponderanti per la fase offensiva e quanti per quella difensiva. Io ho perso una finale di Champions League contro il Monaco perché ho messo un attaccante e tolto un difensore: ho messo Hasselbaink per togliere Melchiot. Noi abbiamo sbagliato tre gol, Morientes me ne ha fatti due. Io sarei difensivista? Meglio stare zitto…
E’ una Roma dalla filosofia inglese?
E’ una Roma romana. Il romano vuole vedere che i propri giocatori a fine partita hanno dato il sangue, se questa è anche la filosofia inglese, benissimo… Io però sono romano. Io accetto la sconfitta dopo che ho visto i miei giocatori uscire morti dal campo. Gli inglesi dicono: «Per fare Roma non è stata sufficiente una notte». Noi stiamo costruendo qualcosa di importante per noi e per loro, ma non si può avere tutto e subito.
Ha provato a portare un po’ dello spirito inglese in Italia?
Io ce l’avevo già questo spirito. Da giocatore non ero un campione, dove non arrivavo ci tiravo il cappello… A me non andavi via. Il mio spirito è quello, la mia forza come uomo è la mia determinazione, il mio non arrendermi mai e il mio provarci sempre. Poi si può uscire dal campo sconfitto, ma basta averci provato. Si dice sempre che la squadra rispecchia il carattere del proprio allenatore, però è vero anche che non tutti hanno lo stessa motivazione, la stessa determinazione, la stessa sicurezza. Io come allenatore posso stimolare e se in tanti danno oltre il massimo anche chi ne ha di meno darà sempre qualcosa in più.
Per questo ha voluto Burdisso?
Per questo ho voluto Burdisso, per questo ogni tanto rompo le scatole a Riise. Contro la Juve gli dicevo: «Hai perso un contrasto con Sorensen, un danese, ma che norvegese sei?».
A proposito di Sorensen, contro la Juve si poteva osare qualcosa in più sulle fasce? Magari con Menez?
A volte si disegna una tattica, poi però entra in gioco anche l’abilità dei giocatori nel trovare il varco giusto. Contro la Fiorentina Jeremy stava sempre centrale e a un certo punto è venuto dalla mia parte. Io gli ho detto di andare dall’altra parte, lui ama la fascia destra e infatti avete visto che grande assist che ha fatto per Borriello. E’ inutile mandarlo a sinistra, perché poi la squadra non lo ritrova. Cassetti avanzava e non gli dava la palla, allora gli ho detto di farlo perché se uno ha un giocatore come Menez come fa a non dargli la palla? A Basilea gli ho detto di mettersi in mezzo. Quindi, tornando alla domanda, è logico che si poteva fare di più ma poi avremmo dovuto di nuovo cambiare sistema di gioco. Perché ho tenuto Vucinic fino in fondo a Torino? Perché mi poteva dare quel contropiede di cui avevamo bisogno. In molti mi hanno criticato dicendo che dovevo levare Mirko e non Totti. E’ tutto semplice dopo… Ma io le scelte le devo fare durante. Ormai la partita era rotta, loro attaccavano e noi avevamo spazio per il contropiede. E che facevo, toglievo il principe del contropiede? Allora so’ scemo… Poi ci sta anche che il contropiede non nasca mai. Io contro l’Inter ho fatto lo stesso, e mi aspettavo più azioni come quella che poi ha portato al gol, con Mirko che taglia l’area di rigore, e che è venuta solo a tempo scaduto. Benissimo… Mi dicono che sono stato fortunato, io ho solo cercato di dare un cambio alla partita, poi non sempre ci si riesce. Sono sensazioni, è la lettura della partita che ti porta a fare questo.
Totti è il supercampione, Jeremy è il genio, Mirko è il principe del contropiede. E Borriello?
E’ il re dell’area di rigore. Abbiamo tutto. Gli ingredienti per una grande Roma ci sono.
Si può vincere lo scudetto?
Io sono un tifoso della Roma, e chi più di me vuole vincere? Cosa avrei dato lo scorso anno per vincere? Se io adesso vi do il titolo: «Vinciamo lo scudetto», a che pro lo faccio? Io ho detto che lo scorso anno abbiamo fatto 80 punti, siamo arrivati secondi, è logico che vogliamo migliorare. E forse il campionato stavolta si vince a meno punti. Noi abbiamo tutto, abbiamo gli ingredienti per fare un ottimo campionato. Ma nello sport non è detto che poi succeda. Io dico ai tifosi di starci vicini, di incoraggiarci e di criticarci, con la consapevolezza che questa squadra più riceve affetto e più vola. Noi adesso stiamo riprendendo una striscia di risultati positivi, abbiamo ancora altre partite difficili. Con l’Udinese non sarà facile perché l’Udinese, come la Roma e la Fiorentina, stava in crisi e ora ha ripreso a giocare dato che i suoi giocatori sono bravi, bravi, bravi, e non potevano stare lì sotto. Il presidente Pozzo è stato bravo a non cacciare Guidolin, lo ha lasciato lavorare e ha fatto bene. Noi dobbiamo continuare, abbiamo un calendario complicato.
Lo scorso anno diceva che lo scudetto poteva perderlo solo l’Inter, oggi c’è una consapevolezza diversa?
Quest’anno non l’ho mai detto. Mi aspettavo che l’Inter non poteva continuare su quei livelli, nel calcio i cicli esistono. Loro hanno vinto tutto ed era logico che ci fosse un po’ di appagamento. C’è stato un cambio di allenatore, una nuova filosofia difficile da digerire. Non voglio fare l’analisi della situazione dell’Inter, anche se la conosco al cento per cento.
Mourinho ti manca?
Ma perché mi deve mancare? Manca a voi che vi dava degli spunti importantissimi. E’ un grande allenatore, ma anche un gran furbo… è unico. Tanto di cappello. Io lo stimo perché è un grande personaggio.
Sei tu il Mourinho di quest’anno? Stai rispondendo colpo su colpo a tutti.
Non ho paura di metterci la faccia ogni volta. Sono pagato per metterci la faccia sempre. Quando le cose vanno bene non vorrei nemmeno parlare, non mi importa. Io non posso essere Mourinho, però capisco che quando le cose vanno male il responsabile venga fuori a rendere conto. A volte però ne sento troppe… Mi arrabbio quando proprio non se ne può fare a meno. Mi sono arrabbiato dopo l’arbitraggio di Brescia, ma l’errore del singolo ci sta. O accettiamo o facciamo tutti casino. Questo non mi piace, però ogni tanto bisogna farsi sentire.
Non ha il sospetto che finita Calciopoli, le cose non siano poi cambiate così tanto? Alla fine di ogni campionato, quando andiamo a fare i conti, vediamo che alla Roma manca sempre qualcosa mentre le altre hanno sempre qualcosa in più.
Io che sto lì, in prima linea, che vengo criticato se le cose vanno male, non posso e non voglio pensare a questo. Dopo la gara col Brescia mi hanno detto di tutto, che ero bollito, che ero finito. Oggi con quei tre punti in più dove saremmo? Non voglio pensare che ci sia premeditazione perché sennò faccio la vittima. E io tutto voglio essere meno che una vittima.
Cosa ha pensato quando ha scoperto che l’arbitro di Roma-Sampdoria, gara che ci è costata lo scudetto, era un tifoso dell’Inter?
Credo che il primo tempo di Roma-Sampdoria sia stato uno dei più belli in assoluto. Io lì mi sono arrabbiato, così come mi sono arrabbiato a Torino, perché quando giochi così devi fare gol. Devi essere cinico, chiudere la partita. Non siamo stati leziosi, però a un certo punto ci è mancata un po’ di cattiveria.
Quanto manca ad Adriano per tornare il campione che era?
Non lo so. Adriano non è un giocatore che ho già allenato in passato, per cui non so quanto davvero possa dare. Molto però dipende da lui. E’ un ragazzo d’oro e gli vogliono tutti bene. Vi racconto un aneddoto di quando mi salvai col Cagliari. Avevamo preso Francescoli, Fonseca che aveva venti anni e Herrera. Tutti mi criticavano perché facevo giocare Francescoli, lo facevano nero, lui venne a bussare nel mio studio e mi disse: «Mister, se è in difficoltà con me, non mi faccia giocare ». «E perché dovrei essere in difficoltà?» gli risposi. Lui: «Bè, è criticato lei, sono criticato io». Noi eravamo ultimi alla fine del girone d’andata, con soli 9 punti. Gli ho detto: «Enzo, non so se farò l’allenatore da grande, ci sto provando. Ma tu non uscirai mai. Me ne sbatto di quello che dicono. Io so che se ho una possibilità di salvarmi ce l’ho solo con te. Per cui pensa a giocare, fammi vincere, divertiti». E ci siamo salvati con una giornata di anticipo grazie a lui e ai gol di Fonseca. Ma se avevo altri tre campioni avrei dovuto metterlo da parte per forza. Che mi dovevo inventare? Ma se ne ho uno solo, solo con quello mi posso salvare.
Adriano è amatissimo dal gruppo, però ancora non è arrivato il suo momento.
Io dico: «Aiutati che Dio t’aiuta». I 15 minuti col Cluj glieli ho dati, poi si è fatto male, i risultati non venivano… Era un periodo complicato. Deve darmi una mano anche lui, altrimenti come faccio ad aiutarlo. Mi auguro che possa trovare continuità. Mi aspetto tanto da lui.
A proposito di periodo complicato: lei all’inizio metteva le mani avanti, parlava addirittura di Europa League.
Parlavo a suocera perché nuora intendesse. Levatemi gli ultimi 20 giorni della Roma, che vi sembrava? Una squadra da scudetto?
Però lei lo ha detto subito, ancora prima dei risultati negativi.
Ma non erano neanche positivi. Abbiamo pareggiato col Cesena, perso a Cagliari. Pareggiavamo in casa e perdevamo fuori, media da retrocessione.
Lasciavano spiazzati certe frasi, vista la rosa.
Ho sempre detto che se l’anno scorso ho fatto 82 punti, ne volevo fare 83. Volevo fare meglio. L’ho detto fin dalla prima intervista. Non posso entrare dentro uno spogliatoio e dire che dopo un secondo posto arriviamo terzi o quarti. Non era un mettere le mani avanti. Volevo far svegliare i giocatori. Tutto quello che faccio o dico ha sempre un perché.
In que giorni si è parlato anche del fantasma di Lippi.
Quando mandano via un allenatore, che venga tizio o caio, che cosa cambia?
Ma se c’è chi lavora per accelerare…
Questo la dite voi… Io in questo caso a Roma non lo potevo dire. A Torino sì, perché le cose si erano sapute. Ma vi giuro che quando ho detto che mi fumavo il sigaro in panchina, non ci pensavo per niente. O quando ho detto che c’è chi calvalca l’onda… Voi avete fatto 2 + 2 e comunque sapete molte più cose di me, vi informate su possibili compratori, catene, eccetera e avete fatto 2 +2 fa 4. Anzi, fa 30, con questi indizi!
Capitolo rinnovo del contratto: rinnova? E se sì, quando?
Non è una domanda che va posta a me. È una questione di strategie societarie. Lascerei stare però per un attimo l’allenatore. Se vuole ci sta, altrimenti ne troviamo un altro. Ma i giocatori sono il patrimonio della società. L’allenatore non lo è. Adesso non so le situazioni, ma penso a De Rossi, Greco, Menez, e non solo. Non posso comunque rispondere a questa domanda.
Il fatto che non vengono rinnovati neanche i giocatori dovrebbe tranquillizzarla. Se si facessero i contratti ai giocatori e non a lei sarebbe peggio.
Io sono portato a lavorare sempre al meglio. Se avrò la possibilità di scelta sceglierò. Se non potrò, pazienza. Non ho mai pianto in vita mia. Casomai ricomincio da capo.
Ha mai ricevuto una chiamata per allenare la Nazionale?
Non mi hanno mai chiamato.
E dall’estero? Magari ques’estate…
Sì.
Lei però non se ne vuole andare dalla Roma senza aver vinto.
Voglio costruire qualcosa. Se vinco sono ancora più contento.
Lo sarebbero anche i giocatori. Con alcuni di loro il rapporto è cambiato rispetto allo scorso anno. Ad esempio Mexes.
Lo abbiamo visto tutti com’è cambiato. È l’uomo che è cambiato. I calciatori non sono mica robot. Non parliamo di macchine. Succede che ci siano annate no o alti e bassi. Quest’anno Mexes è un altro. Gliel’ho detto subito :«Ora ti riconosco».
Con Philippe ad alti livelli, ha problemi di abbondanza anche in difesa.
Non sono problemi. Mettiamo che mi sbaglio: magari faccio giocare Burdisso e Mexes invece che Burdisso e Juan. Ma se stanno tutti e tre in forma, l’errore mio quanto è grande? Se io non ho i due che stanno in forma e perdo la partita, errore mio, tattica, tutto quello che volete… E poi quante partite abbiamo? 55? Ma se uno ne gioca 45, gli cambia qualcosa? Tra nazionali, viaggi, andata, ritorno. La grande squadra deve avere una rosa così.
L’anno scorso non era così.
Credetemi, sono problemi. Ma sono bei problemi. Quando non so chi mettere è molto peggio, sono quelli i problemi veri. Io devo vincere. Al tifoso frega poco se gioca tizio o gioca caio.
Anche perché poi spesso il terzo centrale gioca come gli altri due.
Non esiste terzo centrale. Ho parlato con tutti e tre. Gli ho detto: «Siete tutti e tre forti, tutti e tre nazionali, avrete tanti impegni. Se state in forma tutti e tre, io vi ruoterò ». Che non significa che ogni volta li cambio. Ma certo non posso fare 10 partite con una coppia lasciandone uno 10 giornate senza giocare.
Magari può giocare con la difesa a tre, come a Napoli.
Lì avevo altri problemi. E comunque non li avevo tutti e tre.
Come si fa a recuperare giocatori come Cicinho e Baptista?
Credo molto nel rapporto tra allenatore e giocatori. Una volta che è partita la nave, è cominciato il campionato, chi sta dentro la nave c’è, sono tutti uguali. Se anche uno gioca una partita sola, può essere la più importante, quella che ti fa svoltare. Come Greco. Glielo dico in continuazione: non vi abbattete se l’allenatore non vi fa giocare. Dimostrategli che siete migliori di chi va in campo al posto vostro. Io non ce l’ho con nessuno. Faccio il bene della Roma. Mi posso sbagliare, ma lo faccio in buona fede. Non mi lego nulla al dito e l’ho già dimostrato, non me ne frega niente. Non mi taglio certo gli attributi per far dispetto alla moglie. Penso solo a far vincere la Roma. Vai bene per la Roma? Giochi. Non me ne frega niente se abbiamo litigato. Poi magari esci e rilitighiamo un’altra volta.
L’ha appena nominato: Greco.
Ha avuto una maturazione stupenda. L’anno scorso lo vedevo bene in allenamento, ma senza personalità. È andato a Piacenza, è tornato e ho detto: «Cavolo, finalmente, così mi piaci!». Lo vedevo entrare in campo nel modo giusto. Allora abbiamo deciso che con un altro anno di esperienza fuori sarebbe potuto tornare e avere più possibilità nella Roma. Poi il mercato è stato strano e non si è riusciti a trovare una sistemazione. Gli ho detto di non preoccuparsi e continuare ad allenarsi e forse avrebbe avuto la sua possibilità. La possibilità c’è stata e lui l’ha sfruttata.
Greco è stato decisivo nel derby, la partita che da quando è alla Roma non ha mai perso, avendone vinti 3 su 3.
È stato anche un caso. L’anno scorso loro sbagliarono il rigore con Floccari e fu la molla. Quest’anno è andata bene, a volte conta pure la fortuna. Poi bisogna andare a cercarsela. Quando le cose non andavano, spesso i ragazzi mi dicevano: «Eh mister, ma ci dice sempre male». Io rispondevo: «Ragazzi, la fortuna sta là. Bisogna andare a prenderla con la voglia, oppure nessuno ve la porta».
Un derby si prepara in modo diverso rispetto alle altre partite?
Non abbiamo avuto il tempo. Avevamo Basilea, qualcosa di più importante a cui pensare. Forse è stato anche meglio così, loro erano freschi e ci stavano ad aspettare. Noi non abbiamo sentito tutta questa tensione e in ogni caso non vado a parlare dell’atteggiamento degli altri, non mi compete.
Che cosa pensa della seconda squadra della Capitale,l’Atletico Roma?
Ride
Sta facendo un bel campionato…
Ride ancora Vi potrei dire una cosa che sarebbe grandiosa, ma non ve la posso dire.
Mister,ce la dica…
Ride di nuovo No dai, la Formellese no…
Reja nel dopo partita non se n’è uscito un po’ male?
Avrà sentito tanto la partita e se n’è uscito così. Lo conosco da tempo, non ci sono problemi.
Quali erano le facce nello spogliatoio quando lo scorso anno ha detto che sarebbero usciti Totti e De Rossi?
Non so, l’ho detto, mi sono girato e ho spiegato come schierarsi nel secondo tempo. Avevo altro a cui pensare.
Parole nello spogliatoio, si diceva. Cosa fa o dice un allenatore dopo partite come Roma-Sampdoria o Chievo Roma?
Ranieri tace un attimo, abbassa lo sguardo, poi parla, emozionato Li ho abbracciati. Gli ho detto: «Ragazzi, avete dato il massimo». Questo è importante. Quando una squadra ti dà tutto e non ce la fa, non puoi dire nulla. Il sogno l’ha riaperto l’Inter, noi ce lo eravamo presi, però effettivamente era una striscia positiva lunga, lunga… Tutte quelle vittorie…
Pensiamo al presente: quali antagoniste vede quest’anno?
Le solite. Quelle che renderanno il campionato avvincente, comprese quelle che vengono da dietro, come il Napoli, il Palermo.
Cosa ha pensato quando ha visto che il Milan aveva preso Ibrahimovic?
Mhm. Ho fatto proprio così. Non ci voleva.
Noi però abbiamo preso Borriello.
Quando un allenatore fa i suoi conti vede cosa va e cosa non va e l’attacco non era tra le cose che dovevamo migliorare. Avevamo fatto una marea di gol. Però Borriello ci permette di mantenere quella media gol che avevamo l’anno scorso. Ancora non ci siamo, anzi, ne incassiamo ancora troppi.
Non era meglio spendere quei soldi prima per altri giocatori in qualche altro ruolo?
Quali soldi? Quelli di Borriello? Non sono usciti fuori soldi per Borriello…
Behrami le piace?
Buon giocatore. Ma non parlo di mercato, è materia che spetta a Pradè e io rispetto il suo lavoro.
Si inserirebbe bene?
A me piacciono tutti i giocatori che fanno alzare il nostro tasso tecnico. Siamo competitivi. Non mi aspettavo questo Greco, andiamo avanti con questo ragazzo. È romano, è bravo.
Adesso che sta per cambiare la proprietà, ha paura che accada come con Abramovich al Chelsea? Arrivano i soldi e lei va via.
Non ho paura. Fa parte del gioco. Se va male, mi rimetto in discussione. Non avevo questi problemi a 35 anni, vi pare che ce l’ho a 59? Mi piace vincere, mi piace costruire. Finora ho sempre avuto la possibilità di costruire, ma mai di vedere l’opera finita. Se c’è la possiblità di costruire e vincere, a casa mia, da romanista, sarei l’uomo più felice del mondo. Non c’è più Ranieri come allenatore? Resto tifoso e mi auguro che chi venga faccia bene.
Ancelotti?
Lo vado a prendere io. Tra 10 anni però.
Qual è la prima Roma per cui lei ha tifato?
C’erano Losi, Cudicini, Guarnacci, Lojacono, Pestrin… La prima allo stadio non la ricordo, ero piccolissimo. Andavo con mio fratello e mio cugino. Mi ricordo l’impressione dei fischi della gente. Io sapevo fischiare bene e gli dicevo: «Ditemi quando bisogna fischiare e lo faccio anche io». Loro mi facevano “Fischia”. E poi mi accorsi che fischiavano quando lo facevano tutti e imparai a fare da solo. Mi ricordo due trasferte. Una a Firenze e una a Bologna, con i pullman che partivano dallo stadio Flaminio.
Dov’era la sera di Roma-Liverpool?
A piangere da qualche parte.
Con le tecniche di oggi un giocatore come Rocca si sarebbe recuperato?
Certamente. Si sono fatti passi da gigante. Allora si finiva la carriera per un menisco. Adesso stiamo a un crociato che in 50 giorni già sei recuperato. Siamo a un livello pazzesco.
Quali sono i giocatori più forti che ha allenato?
Non lo so. Tanti mi fanno questa domanda, ma non lo so. Ne ho allenati tantissimi forti, ma uno non ve lo so dire.
Si dice che lei non lavori con i giovani,ma i fatti non lo dimostrano.
Chi lo dice? Ho sempre fatto tutto con i giovani. Con Zola c’era Ferlaino, al primo anno senza Maradona, lui voleva un numero 10 per forza. Io gli ho detto: «Presidente, no, chi compriamo? Qui chiunque arriva, dopo Maradona, e si mette quella maglietta viene bruciato vivo. Scommetto io su questo ragazzino, diamogli fiducia e vediamo come arriva. La responsabilità me la prendo io e lei non c’entra niente. E poi avete visto Zola cosa è diventato». Oppure Terry. Lui aveva 20 anni, giocava con le riserve. Io avevo la coppi di centrali campione del mondo e d’Europa. Lebeuf e Desailly. Lebeuf in panchina e Terry in campo. Per me non conta né l’età né quanto guadagni né quello che hai fatto. Io voglio vincere. Poi magari mi sbaglio, ma con questi non mi pare di essermi sbagliato.
Da cosa si riconosce un campione?
Non è un fatto tecnico. Uno giostra bene la palla? È importante il carattere.
C’è un giocatore da cui poteva tirar fuori di più?
Ortega al Valencia. Aveva un bel piede, ma non sono riuscito a trovare la chiave giusta per farlo rendere. È il primo esempio che mi viene in mente. Era un giocatore stupendo, aveva tutto per essere un grande. Poi non c’è stato feeling e non è andata bene.
Un grande numero 10 può diventare allenatore? Spesso riesce meglio chi è stato un faticatore.
La questione non è essere stato un faticatore o meno. Credo che potrebbe essere, ma non posso esserne certo… Innanzitutto è un mestiere totalmente differente. Noi qui diciamo tante volte: «Ho visto migliaia di partite, ti pare che non capisco di calcio?» E che significa? Io vedo i palazzi tutti i giorni, ma non per questo li so costruire. Saprò mettere un quadro, ma di più no. È la stessa cosa che fare l’allenatore. Per cui non è detto che un giocatore sappia fare l’allenatore o che un non giocatore non sappia farlo, pensate a Sacchi. Credo che quando uno è grande, è grande perché il tutto gli riesce. Platini è stato un grande, poi ha visto che allenare era troppo stressante e ha detto: «Non lo faccio, non mi piace». Un altro magari sta lì a pensare di più.
Poi è più difficile insegnare qualcosa che viene naturale.
Certo. Ma non è sotto l’aspetto tecnico, sotto l’aspetto della costruzione di una filosofia di gioco, movimenti, reparti. Magari lo fai, ma non lo sai spiegare, attuare, produrre. Tutti vogliamo che la squadra giochi bene. Ma poi fallo…
Mister,come andremo in Champions.
Il destino è nelle nostre mani. Ancora non abbiamo fatto nulla. Ci siamo ripresi, prima stavamo messi male. La Roma già con Spalletti ha fatto grandi cose. Quando si va lassù c’è il meglio del calcio europeo.
Siamo tra le prime 4?
Non facciamo un po’ troppo i romanisti. Già che ti dico Barcellona, Real, Chelsea, Arsenal, Manchester, già sono cinque. Poi noi ce la giochiamo con tutti e non abbiamo paura di nessuno, questa è la mia filosofia. Dico sempre: Vado a gioca contro la Formellese o contro i campioni del mondo. Chi c’è dall’altra parte? I più forti del mondo? Dimostramelo, io vengo a giocarmela. 3 putni sono contro la Formellese o contro i campioni del mondo, sempre 3 punti sono.
Contro la Formellese è meglio.
Se vai a giocare contro la Formellese e non stai motivato, perdi la partita, se invece vai a giocare contro i campioni del mondo e loro non sono motivati, li fai neri tu. Non deve interesare il nome. Ci stanno 3 punti in palio e li devi fare tu. Questa è la vera squadra. Sarò felice quando la Roma penserà in questa maniera. Non conta il nome dell’avversario, contano i 3 punti.
Come vivete l’imminente cambio di proprietà?
La cosa bella di questo spogliatoio è che è un blocco bello e unito. (Il mister prende carta e penna e comincia a disegnare, mentre parla). Questa è la Roma, noi giochiamo qua dentroIl resto, ciò che c’è fuori, no nci interessa. Noi dobbiamo produrre, ringraziare la Sensi, ma produrre. Non pensiamo a un mese, ai si dice, ai si fa, chi viene, chi non viene, viene tizio e manda via Ranieri, non mi interessa. Io devo produrre.
Come è il suo rapporto con Rosella Sensi?
Buono, ottimo. Dovrò sempre ringraziarla perché dopo 35 anni mi ha riportato a casa mia.
E’ stata spesso criticata dalla piazza. Non pensa ci sia stata troppa cattiveria nei suoi confronti?
È una presidenza che meritava di più. Auguro ai nuovi proprietari di fare meglio dei Sensi. Ma i Sensi hanno fatto tanto, mettendoci il loro patrimonio e si sa, poi credo che Rosella da quando sia subentrata non abbia mai avuto grandi disponibilità ma ha mantenuto la squadra ai vertici in Italia e in Europa. Non è facile, in un momento dove altre squadre avevano fior di milioni di euro. Auguro di vero cuore, da tifoso, ai nuovi proprietari, che non so quando arriveranno, di fare di più e di meglio.
Con Ranieri in panchina?
Se vogliono vincere sì.

DOMANDE DEI LETTORI


Mister, come giochiamo con l’Udinese?
In 11, già è una cosa.
Pensa che prima della sosta la squadra acciufferà i primi posti?
Siamo determinati per far questo. Male se non lo pensassi.
Perché ha insistito tanto col 4-42 senza esterni e ora sempre il rombo? Vuole che la sua Roma si differenzi da quella di Spalletti e quindi evita il 4- 2-3-1?
Se giustamente questo lettore dice che ho fatto il 4-4-2 senza esterni, allora non va bene l’ultima domanda. Ho fatto quello perché lo ritenevo giusto in quel momento con tutte le problematiche che la squadra aveva.
Se non avesse dovuto rinunciare a Taddei avrebbe trovato la quadratura col rombo?
Proprio perché non reputo il sistema vincente, il sistema di per sé non è vincente, perché tutti hanno dei pro e dei contro. I vincenti sono i giocatori di calcio. Noi ci riempiamo la bocca con moduli e numeri. Ma non sono niente. Gli interpreti contano. L’allenatore secondo me deve riuscire a mettere gente di più qualità in campo e che ti dia equilibrio, che sappiano difendere e attacare. Non c’è sistema vincente.
Quindi non c’è valore aggiunto: il più ricco, quello che riesce a comprare i giocatori più forti, vince.
Spesso a me dicono che non ho vinto nulla. Ma io le ho fatte diventare grandi quelle squadre. Il Valencia chi lo conosceva prima di me? Io li ho portati lassù, io ho vinto dopo 25 anni. Al Chelsea non avevamo i soldi per piangere. Se non arriva il russo a comprare il mercoledì, il venerdì sparisce il Chelsea. Ero arrivato quarto senza un pound per la campagna acquisti. Ho fatto una se-mifinale contro l’Arsenal senza una lira. Poi è arrivato Abramovich e ho fatto il fantacalcio. Chiedimi e posso comprare tutto. Posso comprare anche il Paradiso. «Sì ma tu sei arrivato a luglio», gli dicevo, provando a spiegargli che purtroppo non c’erano i tempi per fare la campagna acquisti che sognava e soprattutto che non è tutto così automatico. Ma lui mi diceva: «Vuoi Totti? Vuoi Nesta? » E io gli dicevo: «Non riuscirai a prendere questi campioni». E infatti non ci è riuscito. Abbiamo comunque messo su una buona squadra. Siamo arrivati secondi e in semifinale di Champions League, poi sono andato via.
Totti può essere impiegato nella ripresa, un po’ come Del Piero nella Juve? Non fa la differenza come un tempo…
Per me il Capitano è il Capitano.
Mister, siamo in grado di lottare su tutti i fronti?
Abbiamo una rosa che ci permette di poter giocare su tutti i fronti. Tutto sta in questa frase. I giocatori devono capire che giocare in Coppa Italia o la finale di Champions è la stessa cosa. Non devi pensare “non gioco qua, non gioco là”. Chi c’è oggi, Formellese? tre punti. Bayern Monaco? tre punti. eal Madrid? tre punti. Viterbese? Tre punti. Hai la stessa motivazione sempre? Allora sei la prima in Europa, altro che prime quattro. Sennò sei solo pizza e fichi. Questa è la verità. Sennò ci riempiamo la bocca e poi non si conclude niente.

Mister, Montali quest’anno ha rifatto la tabella scudetto?
La rifacesse… Non l’ha fatta ancora? (ride)
Quanto dura il curvone?
Fatemelo vedere, aspettate ancora un po’… Senza binocolo. Ho buone sensazioni. Però il focus è proprio questo. I ragazzi si devono sentire coinvolti nel progetto Roma. Dobbiamo cercare di portarla il più in alto possibile. In tutte e tre le competizioni, senza pensare partita facile o difficile, bella o brutta, di cartello o non di cartello. Il giocatore forte è quello che vuole vincere sempre e non gli interessa chi ha davanti. Io come allenatore li stimolo in questo e cercherò di fare gruppo così.
Finora non è andata così?
Sto costruendo. È normale. Sotto l’aspetto tencico non ho nulla da dire sui miei giocatori, siamo una grossa squadra. Dimostriamolo sempre. In ogni partita. Ognuna è differente dall’altra e all’interno di ogni partita ci sono più partite. Noi dobbiamo sempre essere in grado di saperle leggere. Allora saremo una grande squadra.
Le piacerebbe un ruolo alla Ferguson?
In Italia non è possibile. Più in là accetterei tutto, ma per ora mi piace ancora allenare.
Come mai non è possibile?
È differente, noi abbiamo direttore sportivo, direttore generale, direttore di qua… lì il manager fa tutto, ha voce in capitolo in tutto. Potevo mandare via chi volevo in Inghilterra. Abramovich mi disse: «Vuoi fare tutto come Ferguson? Parlai con Ferguson e lui mi disse che ci aveva messo una vita a trovare le persone giuste, metterle al posto giusto e quindi mettersi in condizione di decidere su tutto. Mi disse però guarda che non è facile». E se non era facile al Chelsea, figuriamoci in Italia. Ferguson non sempre sta sul campo, anche se i suoi uffici stanno sul campo c’è l’allenatore che allena. È differente.
Che ne pensa della tessera del tifoso?
Sono perplesso. Bisogna darci una regolata affinché ci sia rispetto. Tutti parlano del fatto che i nuovi stadi aiuteranno il tutto. Io non ne sono così convinto. Non credo che soltanto lo stadio di proprietà farà finire i “casini”. Come nemmeno la tessera del tifoso. Se uno vuole far casino, fa casino. E così non si permette ai tifosi veri, che amano la squadra, danno supporto e magari non si comprano il maglione per venire in trasferta, non gli si dà la possiblità di venire. Che poi ci siano degli scalmanati di tutti i colori che non vanno fatti entrare è un altro discorso. Noi viviamo col tifoso, il tifoso vive con la propria squadra. Se non gli diamo questo, gli togliamo qualcosa. Ho conosciuto il questore di Roma che sta cercando di trovare un punto d’incontro, è troppo importante.
La Curva Sud?
È vitale. Non è importante, è vitale.

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4 commenti su “Ranieri: “La Roma ora è ripartita. Abbiamo tutto per vincere””

  1. lo spero per me per voi per la curva sud per la MAGGGICA che questo allenatore e questa squadra possa vincere lo scudetto….quella partita con la sampdoria e’ una ferita ancora aperta ripenso a quel giorno e sto ancora male,avrei perferito perdere 4 a 0 con la fiorentina ma non perdere nella partita piu’ bella che ha fatto la Roma se il primo tempo finiva 3 a zero per noi non c’era niente da dire

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