Ci si può girare in tondo anche per una settimana, ma se oggi l’Inter ha centrato il primo dei suoi obiettivi stagionali la colpa è anche nostra. Nostra, che abbiamo vissuto con troppa emozione questa gara, il cui simbolico momento clou è stata l’esclusione di un capitano il cui gesto è incommentabile. E indifendibile. Bisognava non cadere nelle provocazioni, non lasciarsi andare al nervosismo. Lo avevano detto tutti, ma non è servito. In occasioni come questa, forse, non serve mai.
Amarezza, dunque, più che per la sconfitta per aver visto nel nervosismo della Roma ancora i residui di una squadra a cui manca sempre quel centimetro per la maturità assoluta. Una maturità dimostrata in un campionato stellare, in rimonta, eroico, epico. E che manca in queste battute finali, sempre più costellate di episodi in cui è il nervosismo a farla da padrone. Errori. Quello che fa più fà rabbia, forse, è vedere mesi di sacrifici vanificati con un gesto. Vedere che aver sopportato provocazioni su provocazioni non è bastato, capire che manca ancora quella minuzia, quella piccolezza in grado di proiettarci in cima all’Olimpo.
Ma poco importa, l’amore non si discute. E pure riconoscendone gli errori, ancora i tifosi sapranno essere il dodicesimo uomo di questa Roma magica, che ha scalato la classifica regalandoci emozioni uniche, che sbaglia, ma sa rialzarsi, che unica in Italia sa rendere fieri i propri tifosi sempre, “in salute e in malattia”. Un unico grande amore, che regala giorni belli e altri meno, ma che ti fa sentire Re sempre, quando senti le campane, la domenica mattina.