Volevo scrivere il mio abituale pezzo post-partita già ieri sera. Tra me e me avevo infatti paura di scordarmi tutto ma poi il cazzeggio, che regna sovrano (o recita comunque un ruolo da protagonista) nella vita di ogni buon abitante della Curva Sud, ha preso il sopravvento e uscito dallo stadio mi sono perso nei deliri della notte finendo a trangugiare mestamente una pizza che mi ha fatto alzare dal letto con una fastidiosa acidità di stomaco tanto che stamattina ho subito sbroccato al portiere del mio stabile. Così, non c’era un vero motivo, l’ho fatto principalmente per tenerlo sempre all’erta.
Vabbè insomma il succo della storia è che non è proprio facilissimo scrivere di questa partita visto che, sebbene il risultato sia diverso da quella di Bologna, in Curva si sono vissute le stesse identiche emozioni della precedente uscita casalinga. Possibilmente con un’anticchia di nervosismo in più in alcuni, con crescente disincanto in altri. Vi racconterò quindi più qualche simpatico aneddoto per tratteggiare un po’ la storia cruda di qualche personaggio più o meno pittoresco che popola gli spalti comunemente noti come i più caldi dello Stadio Olimpico. La chiamano la “verità vera”.
Effettivamente più che stare in Curva ieri sembrava di stare in un Suq. Accanto a me, i soliti ragazzi (un eufemismo, n.d.r.) che imbertano di tutto al malcapitato bibitaro di turno adottando la splendida e scenograficamente spettacolare tattica “ninhos de rua” (cioè prima si affollano con gran fracasso, poi grattano senza pietà alcuna). Sono sempre sorridenti e simpatici, infatti mi sorridono e mi simpaticano, per poi certamente solarmi nel giro di pochi fatali istanti. Prima della partita infatti, è un fiorire di scontrini SNAI con circa 691 combinazioni giocate, per un totale di 6-7000 euro e un veleno pari a quello di Beppe Signori che si ritrova rinchiuso dopo l’orario di chiusura in una ricevitoria di qualche comune emiliano a vostra scelta. “Comprate sta giocata che v’avemo preparato. È già mezza presa, sia Fiorentina che Pescara. Piji l’ichese der Milan e quello der Genoa e te bombi quasi 4 piotte! Dai m’è costata 15 euro te la mollo a 70.” Che cazzo di business geniale! C’è dell’inventiva, ragazzi! Cioè uno si mette lì, in un posto dove ormai sei lì lì per assistere all’evento e ti piazzi strategicamente in una zona grigia dello scommessame (mezza presa mezza no) per tentare di guadagnare sulla quantità, più che sulle singole giocate. Davvero affascinante.
Soprattutto se tutto d’un tratto si alza l’inno della Roma che ti sgrulla da questo sinistro mix tra la borsa di Chicago e il Gran Bazar di Istanbul. Le squadre entrano in campo sulle urla di una Curva comunque soddisfacentemente gremita e per qualche secondo ci si scorda di questi beffardi foglietti, sogno di facile ricchezza, ma vacui ed effimeri come quando ti passano un carroccio.
Urla, canti, bomboni, bandiere al vento (sempre parecchie, ormai, come il nuovo corso della Sud sembra prediligere) e finalmente fumogeni giallorossi salutano l’avvio di una Roma che, di nuovo, sembra animata da una sana voglia di fare la partita. Partono abbastanza forte i nostri, noi sugli spalti con loro, la convincente prestazione di Milano e di Cagliari fa convenire ai più che ci sarà da soffrire perchè tutto sommato la Roma sembra essere una squadra da trasferta (“aò ndannamo je famo tre gò, però ncasa pare che bisogna sta ncampana che nseportamo gnente da casa!”). Vabbè, dopo aver donato questo immeritato momento di popolarità a una delle peggiori battute di sempre si comincia a cercare di capire di che morte si deve morire e ci si accorge che i trascinatori della squadra sono due.
Uno è un ragazzo intramontabile di 36 anni, che riesce ancora ad abbinare qualità e quantità con una facilità disarmante, tanto che il buon Cabanellas vedendolo in TV pare abbia lanciato, in un poco biasimabile gesto di stizza, l’Ipad dal terzo piano del collegio dove è ritornato a terminare gli studi dopo l’anno di Erasmus nella città eterna. L’altro è un veterano di 21 anni, faccia da ragazzo del popolo, quasi pasoliniana, umiltà e personalità da vendere, tecnicamente eccelso, e soprattutto colla giusta tigna per fare tanta strada. In Curva lo amano tutti. Alessandro Florenzi e il Capitano giocano di nuovo un primo tempo da stropicciarsi gli occhi, purtroppo però non sono seguiti proprio a ruota dal resto della squadra. “Er novo Vieira”, come è stato ribattezzato dai più ottimisti in Curva, sbaglia tanto, troppo e dà l’impressione di non essere sempre con la testa sul pezzo. Marcuigno è il solito giocatore utile se segna, completamente inutile se non gli riesce. Destro è un bimbo capriccioso che si incaponisce alla ricerca di un gol che per lui sembra essere diventato chiaramente il problema numero uno; ancor di più della vittoria della squadra e questo è un problema. Nemmeno El Coco pare in giornata si.
Dietro invece sembra tutto ok, e Castan cresce a dismisura. In Curva sono tutti convintissimi di questo acquisto. È un giocatore particolarissimo per chi guarda la partita da dietro la porta. Uno di quelli che ti dona una grande tranquillità e se pensi che non hai un sostituto che sia uno di questo livello vorresti esortare la società ad acquistare la camera iperbarica del fu JackO per conservarlo in maniera ottimale dopo ogni singola prestazione. Stesso smarrimento emerge quando ti rendi conto di dover assistere questa benedetta seconda carriera di Taddei da terzino di cui, sinceramente, avrebbero fatto tutti volentieri a meno.
Al ventesimo compare uno striscione di quelli che ciclicamente si dedicano al giornalista di turno. Questa volta però, è una presa di posizione in un affare che sinceramente fatico a commentare, visto che con tutta la buona volontà non è riuscito a farmi appassionare nemmeno un po’. Forse perché fatico a considerare tifosi i giornalisti e viceversa; nella mia mente, che non è delle più sane, lo riconosco, ma manco come quella di un magnatino che torna dopo una tre giorni al Sensation di Amsterdam (oddio forse si se mi viene in mente questo paragone), il termine “mestiere” mal si concilia con il termine “tifoso”. Per me il tifoso è e sempre sarà il ragazzo che sta in Sud, che paga per entrare fino a rinunciare a uscire il sabato per andare allo stadio il mercoledì, che fa le file coi numeretti per i biglietti e che se la prende in saccoccia tornando a casa rosso di pianto perché non è riuscito a comprare il biglietto per la trasferta di Torino. Ma poi io non sono nessuno, e da tale vi ho sempre consigliato di considerarmi.
Tornando alla partita e scordandosi di questo cameo filo-societario che la parte più attiva della Curva Sud periodicamente ormai offre dall’avvento dei Paladini dei Tifosi, è quasi naturale che la spinta canterina della Sud (ieri molto meglio del solito da questo punto di vista, almeno fino al pareggio) porti al gol del Capitano che appoggia comodamente in porta per l’uno a zero un pallone astutamente messo in mezzo con forza da Florenzi, che però sinceramente pare Re Mida. L’esultanza è sufficiente a sparaflashare l’occasione letteralmente di-vo-ra-ta da Destro qualche istante prima. Sti grandissimi, andiamoci a prendere questa partita, gridano tutti. C’è da mettere punti in cascina in vista di Torino.
Prima di infilarsi nel tunnel forti di un vantaggio tutto sommato meritatissimo c’è spazio per il più classico dei “mettete a sedè, Ferrara mettete a sedè!”. Esercizio eseguito con perfetto stile e tempismo per un giudizio medio complessivo di 8,7 dopo aver “scremato” le palette con il 10 particolarmente generoso del giudice cipriota e il 6 del severissimo arbitro norvegese.
Si va negli spogliatoi e stavolta in Curva nessuno, ma proprio nessuno, si rilassa. Nonostante il vantaggio e la prova tutto sommato convincente non si può scordare quello che è capitato una decina di giorni prima. Qualcuno accenna che da domenica prossima non si potrà fumare negli stadi. Una sonora risata denigratrice lo seppellisce inesorabilmente. Un signorino particolarmente agitato si leva la maglietta agitandola e cantando in pieno intervallo in un chiaro gesto d’esaltazione tipico del consumo di sostanze proibite. Probabilmente però non le stesse che devono aver somministrato ai nostri eroi che, dando forma a tutte le più oscure paure del pubblico, si ripresentano in campo con la voglia di una prostituta bulgara al 23esimo “caso” della giornata.
E si che la Samp la partita te la mette in mano lei, rimanendo in inferiorità numerica poco dopo l’inizio del secondo tempo. Purtroppo però le mani sono quelle di ricotta del nostro Leviatano che non conosce le montagne. Dopo qualche minuto di nulla, un cross apparentemente innocuo dalla tre quarti non viene trattenuto dal buon Stek, dando vita a una delle più classiche papere antonioliane, che in Curva fa gridare subito all’irreparabile. Ci pensa Munari, che poi, come al solito, ma chi cazzo è?
Una doccia fredda che ci si aspettava (non così, magari) e la Curva gnafà. Si spegne come con il Bologna. Come la Roma che ci mette di nuovo tre quarti d’ora per capire che ha preso un gol e che comunque sta giocando in casa in superiorità numerica, la Curva non capisce che questa partita si vince solo d’inerzia, cantando e sostenendo con tutta la voce che si può sacrificare alla causa. I cori non riescono più a partire in maniera decente, il signorino a torso nudo qualche seggiolino sotto di me, ha una vena derossiana che emerge con violenza inaudita quasi nello stesso istante in cui entra in campo Daniele. È un animalone in gabbia senza la gabbia. Praticamente un mimo.
Qualcuno prova dire che la partita si vince con l’inzuccata di Castan. Molti convengono. Qualcun’altro chiede ma perché cazzo non si sta scaldando nessuno che siamo pure un uomo in più? Tutti convengono. La partita scorre via senza grandi emozioni (e senza sostituzioni), a parte due colpi di testa dell’infinito Florenzi prima e del volenteroso ma appannatissimo Balzaretti poi.
Al fischio finale lo sconforto regna sovrano e la preoccupazione di prendere una valanga di gol sabato prossimo è qualcosa di tangibile. Ne parlano tutti. Nessuno la sta nemmeno più analizzando Roma-Samp. Si pensa già a sabato prossimo e si picchia con le aste della bandiera il pirla che prima aveva parlato di “squadra da trasferta”.
Mentre scendo mi rivolto un secondo verso gli spalti e vedo il folle a torso nudo che recita il rosario scandito da un “porco” al secondo in un crescendo rossiniano da panico, il corpo graffiato probabilmente dai suoi stessi gesti inconsulti. Per fortuna (sua) ho modo di scorgere due inservienti della Mater Dei in camice verde che si affannano su per le scale con tanto di barella e camicia di forza. Uno, incrociandolo per le scale, lo riconosco, o almeno VOGLIO esserne intimamente convinto.
Ha la faccia di Osvaldone, mi strizza l’occhiolino e mi fa: “Tranquillo, Skele, sabato torno io!”.
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