Il 2008 si ricorderà anche per l’impressionante escalation del social network creato da Zuckerberg. Un fenomeno che sta in mezzo tra voyeurismo e necessità di non sentirsi mai soli.
Facebook è una droga. In questi mesi le dimensioni quantitative del più grande social network del mondo hanno raggiunto proporzioni ciclopiche. E in Italia, patria per eccellenza dei telefonini e delle mode paratecnologiche,la crescita di FB è fuori controllo. Molti passano ore, dentro gli schemi preordinati del net-universo di Facebook. La prima volta che l’ho aperto, non nascondo l’irritazione per la domanda molto americana “cosa fai in questo momento?". Un carpe diem del web, volto a fissare quello che non si può fissare. Invidio ancora i professionisti del momentismo, capaci di dare un senso storico anche ai bisogni fisiologici dell’attimo fuggente. E poi il tuo menu, apparentemente libero, in realtà circoscritto in schemi inflessibili: richieste di amicizia, condivisione e tag di foto, implacabile ricordo di ogni compleanno (e così non reggono più le giustificazioni per le dimenticanze), regali virtuali, eventi, inviti,giochi, scherzi… Per mesi un tormentato Giacomo Leopardi ha catturato amici inconsapevoli attratti dalla forza evocativa del poeta così grande, e poi all’improvviso ha gettato la maschera invadendo le sue pagine di foto porno, fino ad essere radiato da FB. È una sorta di libertà vigilata: sei libero di dire o far vedere quasi tutto quello che vuoi, ma le regole del gioco non le fai tu, se non quando accetti il voyeurismo di massa proprio di ogni social network. Imprenditori, capi ufficio, gerarchie amministrative, sindacali, imprenditoriali non hanno idea di quanto tempo i propri sottoposti passino su FB. I mariti sospettano delle mogli, e le mogli dei mariti. Potremmo proseguire. Ma al fondo, in questo trionfo non c’è un bisogno assoluto, nevrotizzato dalla rete, di comunicare, socializzare, costruire comunità e relazioni. Se FB è una delle forme del capitalismo moderno, luogo di pubblicità e di affari dentro la cornice moralmente accettabile delle relazioni sociali, è anche una delle critiche di massa più impressionanti alla polverizzazione dei rapporti, alla solitudine, alla personalizzazione e alla mercificazione di ogni cosa, materiale, immateriale, morale. E così in FB cresce il bisogno di nuova politica, di relazioni meno gerarchiche, di una rottura delle vecchie stratificazioni. E soprattutto, in FB ricompare la memoria: le foto di una volta, i compagni di scuola o di pallone, i parenti persi di vista o gli omonimi sparsi in tutto il mondo. Bisogna volerlo, saperlo, costruire un recupero: ma questo strumento dà la possibilità di lavorare sulle radici, sull’identità, sulla ricostruzione di ciò che il tempo e gli eventi hanno compromesso. Un consiglio conclusivo, allora: liberiamoci dai troppi orpelli proposti da FB, che fanno perdere tanto tempo; ma impariamo a considerare questo social network come un’opportunità, nella rete, per vivere in modo meno superficiale. A forza di cogliere l’attimo, infatti, si rischia di perdere la storia.
(Articolo scritto da Pietro Folena per E-Polis)