Rassegna Stampa | CorSera | La partita di ieri ha proposto una Juve che si trova in una situazione non molto diversa da quella fallimentare della stagione precedente.
Dall’altra parte invece abbiamo una Roma rinata, forte, ed in corsa ancora su tutti i fronti.
L’anno sociale della Juventus 2010-2011, per ora, dal punto di vista dei risultati, è pericolosamente simile a quello (disgraziato) che l’ha preceduto. A dicembre Europa incrinata. Un anno fa retrocessione di Coppa (dalla Champions all’Europa League); quest’anno fuori del tutto. In campionato qualche punto in più ma l’approdo tra le prime quattro tutto da conquistare. In Coppa Italia eliminata nei quarti a fine gennaio, allora dall’Inter (il momento più critico con esonero di Ferrara) e adesso dalla Roma (che proprio l’Inter affronterà in semifinale). Sempre da una squadra più forte. E ora come allora con una partita sulla difensiva. Perché, anche con un diverso attaccamento alla causa, con l’appoggio dei tifosi (ma qualche crepa comincia a incrinare il rapporto) e la mancanza dello spaesamento che aveva accompagnato tutta quella stagione all’inferno, il problema della Juve è molto semplice: ci sono squadre più forti, più complete.
Un anno fa la società traballava, l’allenatore era inadatto al ruolo, i giocatori annaspavano. Tutto questo non c’è più. Sicuramente la iella ha giocato la sua parte, con gli infortuni che pesano, soprattutto quello di Quagliarella, il più grave, in tutti i sensi, perché l’attaccante arrivato dal Napoli era l’unico che segnava.
La differenza con la Roma sta proprio qua. Una partita dove per sessanta minuti le due squadre sono avvitate su se stesse in una specie di ballo del mattone, una partita dove i giocatori tirano a campare, tirano poco in porta e, soprattutto, paiono tirare ai rigori, può essere risolta solo da un colpo di bravura, dalla prevalenza della tecnica.
La Roma dimostra di avere più qualità e un impianto più collaudato. La Juve si stringe attorno all’idea forte di gruppo che la società cerca di far passare in antitesi al recente inglorioso passato, ma non basta. È una gara a strappi, con la Roma insidiosa al termine di manovre palleggiate e la Juve che si propone con lampi, come una conclusione di sinistro da fuori di Del Piero che Julio Sergio devia in angolo.
Madama, però, manifesta subito i suoi evidenti problemi offensivi. Si puntella, malgrado le distrazioni, sulla retroguardia. Ma le controffensive sono fiacche, lente, prevedibili con Martinez, Pepe e Amauri senza verve.
Nel secondo tempo Ranieri inserisce Borriello mentre Delneri opta per un cambio più radicale con l’ingresso dello stakanovista Krasic che va a formare, con Martinez e Del Piero, un inedito tridente d’attacco. Malgrado questi accorgimenti, la partita sfuma in uno stillicidio di palloni buttati via, ma con la sensazione che il potenziale offensivo della Roma sia più massiccio e possa impedire supplementari e rigori arrivando a una conclusione nei novanta.
Diverso peso offensivo e maggiori qualità tecniche si sintetizzano nel gol di Vucinic: un destro a «aggiro» spettacolare. Una volta, in un altro secolo, era una specialità di Alex Del Piero. La reazione bianconera non ha la consistenza sufficiente per scardinare il vantaggio giallorosso.
Chiude tutto Taddei nel finale. Prima, però, c’è un rigore di Mexès su Del Piero che Damato non vede. Lo si può usare come alibi per questo risultato, non per assolvere il progetto Juve che mostra, a gennaio, tutti i suoi limiti. Il fair play finanziario è una bella cosa, ma le partite le vincono quelli che tirano come Vucinic.