Rassegna Stampa – Il Romanista – In Europa sono molti più seri. Dalla stagione 2014/15, chi non chiuderà i bilanci in pareggio, chi è indebitato con altri club, con i dipendenti o con il fisco, non potrà iscriversi alle competizioni europee. Potrai vincere tutti gli scudetti del mondo, ma se non avrai i conti a posto tanti saluti alla Champions. Si chiamafair play finanziario. Non è teoria. E’ legge e pure logica. «La filosofia consiste nel non spendere più di quanto si guadagni», spiegava il presidente della Uefa, monsieur Platini. Le norme sono state approvate dal comitato esecutivo a Nyon lo scorso 27 maggio. Nel triennio 2012/2015, le perdite non potranno superare i 45 milioni. Se però quei 45 milioni di buco li registri già il primo anno, non potrai andare più in rosso nei successivi due. Attenzione: quei 45 milioni andranno comunque ripianati. La Uefa ammette iniezioni di capitale (ahinoi), ma non prestiti. In assenza di un Paperon de’ Paperoni di turno, di uno pronto a mettere mano al portafogli (vedi Moratti), il deficit massimo nel triennio potrà essere solo di 5 milioni. Chi da anni come la Roma gioca pulito e ha i conti ok, non corre rischi. Chi invece gioca sporco e poi magari ci fa pure la morale sugli sprechi di «Roma ladrona», dovrà stare con gli occhi aperti. Il nodo è tutto qui. In Italia non si lotta ad armi pari. Dalla stagione 2003/04 a oggi, la Roma ha centrato cinque secondi posti. Dal 2003/04 a oggi, gli scudetti sono andati una volta al Milan (03/04) e ben cinque all’Inter (il titolo 2004/05 è stato revocato alla Juve e mai assegnato). Totti sostiene che un paio di tricolori ci siano stati rubati.
Ha ragione? Vediamo. A giugno di due anni fa, Inter e Milan – ricordiamolo: campione d’Italia 03/04 – sono state condannate dalla giustizia sportiva per le plusvalenze fittizie realizzate tra il 2003 e il 2005. In sostanza, si scambiavano giocatori attribuendo loro valutazioni esagerate di mercato al fine di tamponare i buchi di bilancio e iscriversi, così, al campionato. Doping amministrativo. Le due società se la sono cavata con novantamila euro di multa. Patteggiando, però. Ovvero, riconoscendo le proprie colpe. Hanno ammesso di avere barato sui bilanci, evitando guai peggiori.
Cinque scudetti cinque. Totti ha (di nuovo) ragione quando dice che l’Inter è sempre davanti. Per forza. Da noi non esiste la legge sul fair play finanziario, ma quella del più prepotente. Per iscriverti al campionato, l’importante è che tu sia in regola con i contributi dei dipendenti e abbia pagato le tasse. Lodevole, per carità. Ma insufficiente a evitare che la Serie A si corra a due velocità. Da una parte ci sono quelli che spendono quello che possiedono in cassa, e tra costoro adesso c’è pure il Milan. Dall’altra c’è l’Inter. La Serie A ha chiuso l’esercizio 2009 con debiti per quasi 1.882 milioni. Di questi, 431,55 erano dell’Inter. Il 22,9% del totale. Una cifra mostruosa e addirittura peggiore a quella fatta registrare l’anno precedente, quando a via Durini si erano indebitati per 395 milioni. Lo squilibrio è reso evidente dall’ammontare dei crediti: appena 66,34 milioni. La barzelletta è che l’Inter è andata in giro a raccontare che non è vero che hanno debiti con le banche. «Chi sarebbe così fesso da prendere squadre così indebitate come l’Inter? Bisogna introdurre regole per cui non si potrà più spendere più di quanto si incassa. Con le nuove regole proteggeremo il business di Abramovich (Chelsea, ndr), Massimo Moratti e Glazer (Manchester United, ndr). Sono sicuro che vogliono vendere, ma chi comprerebbe club con tanti debiti? Chi sarebbe così stupido?», disse Platini a novembre di un anno fa. Niente da fare, l’ad nerazzurro Ernesto Paolillo considerò il ragionamento del presidente Uefa lesa maestà e gli rispose: «E’ stata un’affermazione a sproposito alla quale abbiamo immediatamente risposto. L’Inter non è indebitata con le banche». Falso. Stando sempre al bilancio 2009, l’indebitamento dichiarato verso enti creditizi è stato di 48,3 milioni. In più si sono impegnati il marchio. Il 100% della controllata Inter Brand Srl, la società titolare dei diritti di sfruttamento sul brand (il logo e dintorni) nerazzurro, è stato dato in pegno – valore: 40 milioni – a Banca Antonveneta. Ma perché? Per garantire un finanziamento da 120 milioni. Che l’Inter aveva ottenuto il 9 giugno 2006, indovinate un po’ da chi? Esatto: da Banca Antonveneta. E meno male che non erano indebitati con le banche… In compenso, i 14 membri del Cda nerazzurro si trattano bene. I loro compensi ammontano a 800 mila euro. Affari loro, comunque. Torniamo a quelli che sono anche un po’ nostri. Lo scorso ottobre, l’assemblea dei soci ha approvato un bilancio chiuso con una perdita netta di 154,4 milioni. La peggiore di tutta la Serie A, ma non la peggiore nella storia dell’Inter. Il record fu toccato nel 2007, con un rosso di 206,8 milioni. L’assemblea ha ripianato il buco, e non poteva fare altrimenti, disponendo un aumento di capitale di 70 milioni. In pratica l’azionista di riferimento, cioè Moratti, ha versato soldi suoi. Il patron se lo può permettere. Con la redistribuzione degli utili 2008 della Saras, la raffineria di famiglia, ha incassato dividendi per quasi 100 milioni. In 14 anni di gestione del club, dunque tra il 1995 e il 2009, sono state generate perdite per 1,15 miliardi. Alla metà, circa 730 milioni, ha provveduto Moratti. Lecito, per carità. Ma dove sta l’equilibrio finanziario? Si può parlare di fair play quando c’è una società che, a fronte di disavanzi del genere, se ne frega e spende sempre di più per stipendi e salari? Nel 2008, la Milano nerazzurra pagava 175,6 milioni ai suoi dipendenti. Un anno dopo si era passati a 199,9 milioni. Già che c’erano, potevano fare cifra tonda.