Non c’è che dire; quest’anno, la Roma ed il suo Babbo Natale d’élite reclamano uno spazio importante sotto l’albero, tanto colmo è il sacco dei regali da consegnare: un quarto posto prezioso ed impronosticabile; una difesa divenuta improvvisamente imperforabile; una serenità generale figlia di una tregua fra calciatori e tifosi; uno stadio finalmente pieno; un mix esplosivo di entusiasmo ed ottimismo, dal sapore antico. Del resto la Roma ed il Natale condividono l’aggettivo qualificativo: magica è la festa, magica per antonomasia la squadra.
Per questo può accadere di tutto: può accadere che Gian Paolo Montali ci parli di un progetto scudetto, da perfezionarsi nell’arco temporale di due, massimo tre anni; può accadere che il guru del successo come motto di vita ci racconti di bilanci sanissimi, fra i migliori in Italia; può accadere perfino che l’ottimizzatore delle risorse umane preannunci acquisti di altissimo livello.
E’ tutto talmente bello che ho quasi paura di indagare oltre. Ma la memoria storica è patrimonio dell’uomo e allora un paio di domande ancora me le pongo: dove è sparita l’imminente resa dei conti tra Unicredit ed Italpetroli? Quello scontro finale che avrebbe disegnato scenari apocalittici; che ha tolto il sonno a migliaia di sostenitori; che paventava lo spettro del fallimento; che ha riempito pagine di giornali? Tutto dissolto nel nulla, come nel nulla si è dissolto il nome di Angelini. A dire il vero, nello specifico, la stagione agevola la sovraesposizione del personaggio; tuttavia, il contesto non è quello calcistico. “E’ un prodotto Angelini”; questo lo slogan che sigilla i due terzi degli spot che abbiano ad oggetto medicinali. Viene quasi da pensare: ma quanti soldi avrà mai? Un fatto è sicuro: la Roma, almeno per ora, non è un “prodotto Angelini”.
E mentre continua il confronto tra chi ritiene il fatto una fortuna e chi, invece, lo cataloga come un gran peccato, mi interrogo su un punto: i buoni risultati conseguiti di recente hanno temporaneamente innaffiato braci che ardono ancora o, piuttosto, fino ad ora, abbiamo utilizzato presunte impasse dirigenziali come valvole di sfogo per le nostre frustrazioni? Io ritengo che un cambio al vertice, se davvero deve esserci, vada pianificato nella quiete e non nella tempesta. Ma il rischio che Ilary me diventi ‘na befana è troppo alto; dunque, allo stato, va bene anche così, confidando nelle risorse occulte di una società alla riscossa. Buon Natale a tutti.