«Il calcio italiano ha poco appeal, meno di altri campionati», sosteneva poco più di un mese fa Josè Mourinho. Nel frattempo, dopo le ultime giornate con medie gol da record il parere dell’allenatore nerazzurro inizia a essere più positivo. «Posso anche sbagliare – dice ora -, ma mi sembra che questo campionato sia molto migliore di quello della scorsa stagione». «Non dico che è migliore perchè Mourinho è in Italia o perchè l’Inter giochi in modo spettacolare, lo dico parlando in generale – spiega il tecnico in una lunga intervista a Inter Channel -: le squadre sono più offensive, senza perdere la loro organizzazione tattica». Cita i nomi di colleghi come Spalletti, Giampaolo, Marino, Zenga, «che mi sembra vogliano giocare un calcio ben organizzato, ma che propongano anche uno spettacolo sportivo». Certo, constata, rispetto alla Premier, dove la «spettacolarità è più basata sull’emozione intorno alla partita, in Italia non esiste ancora questa emozione, questa spettacolarità e la preparazione di un’industria che si vuole vendere. Però sono impressionato in modo positivo dalla qualità del campionato italiano». Un giudizio attento, da parte di uno che si definisce «un navigatore del mondo calcistico», con «l’obbligo di migliorarsi sempre». Non un «allenatore di ‘creazionè spontanea», ma uno che, sottolinea lo stesso Mouirnho, ha studiato parecchio, sui libri, giocando, allenando squadre di ragazzi, facendo il preparatore atletico, l’osservatore per poi approdare e vincere sulle panchine di Porto e Cheslea. «Non mi voglio fermare, sono giovane come allenatore, ho almeno altri quindici anni di lavoro davanti a me a livello molto alto, ovviamente voglio migliorarmi – spiega -. Quando finirà con l’Inter, dove sono molto felice, non voglio rientrare in campo da una porta vicina, andrò in un altro Paese. Per me è impossibile fare come Ferguson o Wenger: cerco sempre nuove sfide.». Il passo successivo, a quel punto, sarebbe provare a vincere in Spagna. Ma nel frattempo l’allenatore di Setubal con l’Inter punta lidi importanti. In passato, sia al Porto sia al Chelsea, è riuscito a cambiare la storia del club. Nell’intervista non ci sono parallelismi, ma anche riportare la Champions League nella bacheca di via Durini dopo oltre quarant’anni, avrebbe una certa portata. In compenso, Mourinho sintetizza le qualità del suo giocatore ideale. «Mi piace che parli il mio stesso idioma calcistico, capisca al volo quello che vuole l’allenatore, e non abbia bisogno di essere trascinato. Mi piace – continua – un giocatore che ha una grande autostima e una grande automotivazione, che non è mai soddisfatto, che non accetta gli errori». Nessun nome, ma si intuisce che ad esempio uno come Adriano non risponde ad almeno un paio di questi requisiti. Tra campioni e giovani promesse, il portoghese non fa troppe differenze. «Ho allenato – dice – dei giovani che volevano tutti i giorni essere campioni e dei giovani che non vogliono essere dei campioni. Ho allenato giocatori di trentacinque anni che sembravano ne avessero diciotto. Ho allenato diciottenni che sembravano averne quaranta». E anche in questo caso a qualcuno potrebbero fischiare le orecchie. Il rapporto con i suoi calciatori, è stato uno degli aspetti che più ha fatto parlare dell’allenatore nerazzurro dal suo sbarco a Milano. Ha fatto notizia per come ha tenuto il gruppo, e poi per le ‘punizionì agli indisciplinati. Questione di dettagli. «Per essere molto esigente con chi alleno, penso di dover dare ai giocatori le condizioni ottimali. Non voglio mai – assicura – trovare un problema tanto per trovarlo, mi piace che ci sia una struttura con la capacità di rispondere positivamente. E qui ho trovato piena disponibilità».