Rassegna Stampa – Corsera – Se la squadra più forte del nostro campionato è sostanzialmente una squadra straniera, è evidente che i tempi non sono dei migliori. Ecco perché ci sentiamo di condividere in blocco le riflessioni di Marcello Lippi che, in più di una occasione, ha difeso il suo operato, vale a dire le convocazioni per il mondiale sudafricano sostenendo di non avere dimenticato a casa fenomeni veri o presunti in grado di trasformare con un colpo di bacchetta magica l’annaspante Italia di questi giorni in una formazione arrembante e spettacolare. Quello che passa il convento è di pubblico dominio e la nazionale che è riuscita nell’impresa di non battere i dopolavoristi provenienti dalla Nuova Zelanda non è che lo specchio della recessione che ha colpito il pallone made in Italy.
Dando a Cesare (nel senso di Lippi) quel che è di Cesare, non significa sostenere che le scelte del c.t. siano tutte per forza di cose condivisibili. Pur in assenza di fuoriclasse del calibro di Messi, Kakà, Cristiano Ronaldo, Rooney e compagnia bella, qualche piccolo ritocco nelle convocazioni avrebbe probabilmente garantito un migliore equilibrio nell’organico dei 23 azzurri e, di riflesso, una sua maggiore funzionalità (dell’organico) alle formule tattiche pianificate dal c.t.
Lippi non ha mai nascosto di puntare ad una squadra camaleontica, ma se questo significa il frenetico sovrapporsi di schemi differenti è evidente che il rischio sia soprattutto quello di finire nel pallone. Il valore e il carisma del nostro tecnico sono ovviamente indiscutibili e dunque la scelta di ruotare in maniera insistita moduli e uomini può essere interpretata come la presa d’atto dei limiti del gruppo da lui stesso assemblato e, dunque, come il tentativo di tentare un coupe de theatre che possa smuovere le acque.
Sotto questo aspetto c’è da domandarsi peraltro come mai, dopo avere deciso di utilizzare le due settimane di lavoro al Sestriere alla messa a punto di uno schema ( il 4-2-3-1), Lippi abbia rinnegato questa sua intuizione tattica già nel primo dei due test premondiali (a Bruxelles contro il Messico) per riproporla però nel primo tempo del battesimo sudafricano con il Paraguay prima di abbandonarla in maniera definitiva contro la Nuova Zelanda. Con esiti comunque sconfortanti. Forse stavolta il c.t. si è arreso all’evidenza: impossibile infatti affidare un copione ad interpreti fuori ruolo. Ecco perché ci sembra di potere affermare oltre ogni ragionevole dubbio che, incentrando il suo lavoro preparatorio sul 4-2-3-1, ora abbia steccato un paio di convocazioni: inutile insistere su Marchisio, violentandone il Dna, in qualità di incursore centrale.
Nella fattispecie il meglio resta ancora Perrotta, un po’ stagionato come molti dei reduci di Berlino, ma in grado di offrire maggiori garanzie di applicazione in uno spazio temporale così ristretto qual è quello di un Mondiale. E, oltre a quella dell’incursore, imperfetta si è rivelata pure la scelta di un altro ruolo-chiave: quello dell’unica punta. I fatti hanno dimostrato che, se non adeguatamente attivato, Gilardino finisce ai confini della manovra: per questo tipo di gioco, quello sui cui il tecnico azzurro ha insistito più di tutti, sarebbe stato certamente più funzionale Marco Borriello, centravanti fisico, in grado di dialogare con il resto della formazione, ma anche stoccatore di razza.
Altro equivoco in cui è incappato Lippi: la fiducia incondizionata a Camoranesi. Reduce da una stagione travagliata, l’argentino è il fantasma del campione che fu. Errore di valutazione grave perché ha precluso la possibilità di un’altra scelta di qualità. Se avesse voluto osare un po’ di più, il c.t. avrebbe infatti potuto puntare sulla qualità di Totti come inventore di calcio a mezzo servizio: nell’ultima mezz’ora contro i neozelandesi chiusi a doppia mandata nella loro area, i colpi a sorpresa del capitano giallorosso avrebbero potuto spalancarci uno spiraglio in più. Quanto a Balotelli, è certamente vero che il talento interista andrebbe irreggimentato nei comportamenti, ma perché non rischiare? È infatti altamente probabile che, dopo le bastonate ricevute da Mourinho, il ragazzone nero avrebbe dato pure l’anima per chi gli avesse spalancato le porte di una clamorosa rivincita in azzurro. E comunque meglio fare figuracce con Balotelli in campo che con Di Natale, Iaquinta e/o Quagliarella. Mario è il futuro, uno spiraglio di luce nel buio del nostro calcio in crisi di identità. Gli altri rappresentano un presente senza alternative.