Tor di Valle non è una cittadella dello sport. Non è la casa del nuovo stadio della Roma. Non è nemmeno il riflesso di tre grattacieli newyorkesi. Perché ci cammini sopra e ti ritrovi solamente una selvosa distesa di rifiuti, l’odore dà il voltastomaco e il quartiere è abbandonato al tempo. E alle persone, incuranti, menefreghiste, vagamente snob. Beh, non è roba nostra, dicono i genitori affacciati alle finestre. L’Ippodromo di Crevalcore, Silver Horn, Icaro IV, ansima con la polvere che si solleva a spanne, cade a pezzi, i vetri rotti e Febbre da Cavallo che rimane semplicemente un film. Ma nessuno ha mai detto alcunché. Chissene frega, no Lorenzo de Cicco? Voglio dire, pare una discarica. Di scarti, spazzatura, avanzi della cena della sera prima. Tutto vero, ma in realtà è una discarica di indecenza umana, raccontata a parole da chi con queste parole ci mangiava sopra. E ora non ci mangia più. Perché la Tor di Valle attuale non è un vanto di Roma, s’è incupita in una ricchezza in cui sguazzava e in cui ora annega. Ambisce ad una riqualificazione vecchio stile, che presto o tardi ricadrebbe nell’indifferenza lasciata sul ciglio del marciapiede. Italiani e stranieri, tutti uguali. Perché fra dieci anni, senza un intervento commerciale, vasto, che dia un’impronta economica al quartiere, i figli di quei genitori continuerebbero a dire Beh, non è roba nostra. E quindi sì, tutte quelle cubature sono essenziali per mantenere in vita un senso di civiltà ormai perso tra le morali cattoliche dei giornali. Ma tant’è, a Lorenzo de Cicco non importa del degrado che si respira fra le strade rotte di Tor di Valle. Semplicemente perché non vive lì.
De Cicco poi, insiste sugli espropri di qualche terreno, non considerando però che l’esproprio, se presente un’interesse pubblico, è un diritto dello Stato – o della Regione –, e non un diritto del cittadino, e dove l’indennizzo fa da controparte. Lui non lo scrive, ma fa intendere l’opposto. E l’interesse pubblico è stato approvato dal Comune, poi toccherà alla Regione, ma forse De Cicco cerca più di conquistare la folla con dolci parole che raccontare la Verità.
Pare che a nessuno interessi realmente dei quasi tremila posti di lavoro che verranno rilasciati durante i due anni e mezzo di cantiere. Giustamente, la folla grida, sbraita per lavorare, ma l’Italia con i suoi quotidiani conduce una politica anti-lavorativa. Mascherandola per speculazione, quando invece i giornali sono i primi a speculare per un pugno di copie vendute in più. E pare che un traffico di circa tremila persona possa mandare in tilt un flusso di lavoratori in una Città che ormai s’è abituata al caos. Tremila persone su due milioni di abitanti. De Cicco parla anche di venticinque mila operai e commercianti che abiteranno metro e treni, statali e superstrade, senza tenere a mente dei quasi 190 milioni di euro che verranno spesi proprio sul traffico, automobilistico e pedonale, pure ciclistico.
190 milioni, glielo ripeto.
Questo è mondo in cui prevalgono gli interessi personali, e c’è chi pensa che vivere tra i sacchi neri dell’immondizia e in una foresta di alberi probabilmente mai potati, sia più vantaggioso che alzare gli occhi e fiutare la novità. Fiutare migliaia di posti di lavoro. Fiutare gli stipendi che a fine mese mancano tremendamente. Fiutare l’opportunità in un Paese che di opportunità ne ha perse fin troppe. E in fondo la Verità va raccontata, non nascosta per una crociata personale da pochi quattrini.