Ti svegli ancora qualche volta, vero? Ti svegli al buio e senti il grido di quelli innocenti?
Jodie Foster, nell’interpretazione dell’eroina socratica Clarisse, racconta al dottor Lecter di quanto fosse rimasta traumatizzata dalla macellazione di innocenti agnelli destinati alle bocche affamate di famiglie riunite col sorriso a tavola. Agnelli che scappano. Agnelli che belano. Agnelli che gridano confusi. Il Ranch, la stalla, che da dimora si trasforma in cimitero, in lapide, in un’epigrafe. Poi in quel prato nessuno più mormorerà nel cuore della notte e il silenzio degli innocenti calerà negli occhi lucidi di Jodie Foster.
Non ne ho salvato nemmeno uno, ripeterà.
26 Aprile, Stadio Olimpico di Torino. Ore 23. Il nulla, il sonno, la perdita di contatto. Si, perché l’Italia, che in fondo non è poi così differente da quel Ranch nel Montana, si specchia nella propria retorica. E tutti amano discutere. Interviste e condanne, censure e abiette deplorazioni moralistiche. Questa è l’Italia da salotto, da chiacchiere, come se qualunque problema si sciogliesse come neve al sole. Raciti e Sandri hanno perso la vita otto anni fa. Genoa – Milan, l’accoltellamento di Spagnolo, vent’anni fa. De Falchi, ventisei anni fa. Furlan, tifoso triestino, morì trentuno anni fa in seguito a gravi lesioni celebrali causate dai manganelli sporchi di sangue viziato della polizia.
Tutte vittime. Tutte carni da macello per il mattatoio.
Tutti agnelli.
E l’immagine istantanea di questa Domenica dall’odore acre di polvere da sparo, non è nemmeno una di queste. Ma il coma di Antonino Currò, Messina – Catania e il derby dei fuochi. Quelli veri. Quelli che scoppiano nel volto di innocenti e cancellano in mezzo secondo una famiglia. Era il 2001, ad uccidere Currò fu una bomba carta lanciata dal settore ospiti. Il mondo gridò rabbiosamente alla rivolta, ma tutti chiusero gli occhi.
E videro nero.
Nero come Ossi di Seppia, quando il corpo inerme del mollusco galleggia tra le onde del mare, trascinato come inutile maceria alla riva. Alla deriva. L’Italia del pallone ricalca pienamente questo disegno, perché abbandonata ai problemi che si risolveranno sempre domani. E’ un turbine, un circolo vizioso, senza né capo, né coda.
Sono passati quattordici anni da quel Messina – Catania e l’Italia ancora ama dibattere su una poltrona, sotto i riflettori, con un microfono in mano e tanta morale da sperperare in monologhi che di concreto non c’azzeccano nulla. Perché nulla è effettivamente cambiato. Quanti De Falchi ancora moriranno? Quanti Currò ancora perderanno la vita? Per quanto ancora quel Ranch da 40mila, 50mila tifosi, sarà il mattatoio di innocenti?
Non c’è nessun silenzio degli innocenti in Italia, o meglio il silenzio sì. Perché le parole non sono più parole, ma un lento declino verso morte certa. E nemmeno il calcio ne ha salvato uno.
Colpevoli.
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