C’era una volta una Roma, e chissà com’è finita…
Nel pomeriggio in cui le parole dovrebbero quasi naturalmente mutare in qualcosa di più concreto, la Roma si scioglie. Dissolta nel fantasma di sé stessa, come se l’incubo che la perseguita da mesi e mesi, non si fosse mai rotto. Ed è proprio così, perché le false speranze di Torino muoiono rapidamente nell’agonia di un gioco sterile, passivo.
Inutile.
Roma – Atalanta è il cerchio che si chiude, l’eclissi, la controprova dell’illusione nata chissà quando, forse nelle conferenze tutte uguali di Garcia e giocatori presi a random. Promesse e parole. Parole e promesse. Il tifoso che ci crede, ci spera, compra il biglietto ed entra all’Olimpico. Anche oggi, nonostante il vortice di contestazioni, i romanisti veri hanno fornito una risposta. Bene, ripeti questo per tre mesi, è angoscioso. Non ne esci vivo, cioè corporalmente sì, ma qui dentro alla testa soffri come pochi. Questo almeno fino alle scorse settimane. Perché era la Roma di due mesi fa – quella di Verona, di Rotterdam, anche di Cagliari – che faceva rabbia, collera, convulsiva violenza. Questa no. Questa nuova Roma provoca disagio ed indifferenza, perché il silenzio dell’Olimpico è l’apice di un menefreghismo dilagante. E il trotterello in campo cos’è se non il riflesso della rassegnazione dipinta sugli spalti? In fondo i romanisti ci sono sempre stati, pure dopo l’imbarcata tedesca, pure dopo l’eliminazione da tutto. Sempre, ci sono stati. Ma ora è tremendamente complicato, ed è inutile negarlo, tutti noi già ipotizziamo come terminerà la partita al fischio iniziale.
Male, chiaramente. Non tanto nel risultato, quanto nella prestazione scadente e mediocre. Vuota. A volte persino umiliante, ed osservare un primo tempo talmente scialbo tra le mure amiche, t’abbatte definitivamente.
Mi sento svilito dopo oggi.
Garcia parla di rabbia.
Impropriamente. Perché è lui che si è costruito il suo personale castello di rabbia. E come Dann Rail viaggia lungo una ferrovia infinita – e unidirezionale, limitata, senza possibilità di ramificazioni – Rudi Garcia non scende a compromessi. Tutto nasce e muore in un 4-3-3. Vedi allora un Rudi Garcia che ha dimenticato all’improvviso il suo lavoro, un 4-2-3-1 che non è un modulo, ma una cozzaglia di giocatori gettati a casaccio su un prato. Senza schemi, né corsa. Senza mordente, né voglia. E’ questa la vera sconfitta imperdonabile: non essere riusciti a non dipendere dagli uomini e dagli schemi chiave. Non essere riusciti a scendere a compromessi.
C’era una volta una Roma, e chissà com’è finita…