E’ una Roma da Romanisti

E’ dura. Durissima. E’ un momento difficile per tutti i Romanisti veri, quelli che soffrono se la Roma non vince. Non conta il bel gioco, non conta quanti tiri fai, non conta quanti gol sbagliano gli avversari: conta la vittoria, i 3 punti. Conta il sorriso a fine partita, conta l’adrenalina del match e la stanchezza post-vittoria, dopo la quale arriva la fame, perché ovviamente prima e durante non si riesce neanche a mangiare. Dal mattino alla sera, a riflettere su come si possa uscire da questo momentaccio, sul da farsi: perché tutti vorremmo poter fare qualcosa in prima persona, buttare la palla in rete, formare una barriera invalicabile davanti la linea di porta, perché tutti insieme, tutti uniti, chi ci batte? Nessuno. E’ quello che pensa ogni Romanista, con la R maiuscola, che non ha interessi economici (mal)celati dietro le proprie frasi, che non spera che la Roma perda per dire “l’avevo detto”, che non spera che questo o quel giocatore della Roma “fallisca”, che non spera che Garcia venga esonerato, perché ogni sconfitta della Roma, è anche una sconfitta nostra.

Siamo pochi, purtroppo, maledettamente pochi. Di Roma non scrivo soltanto: ne chiacchiero con mio padre, mio fratello, zii e cugini, amici, colleghi; ne parlo addirittura con e alla persona che mi sta vicino ogni giorno. Ne parlo in radio, oltre a chiacchierarne e scriverne qui e sui social network. Innegabilmente la Roma riveste nella mia vita un ruolo fondamentale, centrale. Siamo fra amici, che problema c’è a dire che dopo Juventus-Roma del 5 ottobre non solo non ho praticamente dormito, ma ho avuto per giorni e giorni flash delle occasioni sciupate da Gervinho e Pjanic? Ed è ancora così, perché quella partita, lo credo e me lo dico ogni giorno, ogni volta che ne parlo, ne chiacchiero, ne scrivo, avrebbe sicuramente cambiato tutto.

Quanto vorrei cambiare tutto, andare a dormire, pure sacrificando il sonno, ed alzarmi dal letto con la Roma prima in classifica, a +9 sulla seconda? Ma sarebbe troppo facile. Quindi no, la via più corta non ci piace, preferiamo la via più lunga, tortuosa, faticosa, dolorosa, stancante e lacerante. Preferiamo dover scalare la montagna più alta aggrappandoci con le unghie, scalzi. Aneliamo ad una Roma vincente come un malato anela alla salute.

E’ dura. E’ dura perché siamo lì, secondi!, ma siamo soltanto secondi. Quasi immobili, bloccati, impauriti. Come un uccellino che deve imparare a volare. L’avete mai visto un uccello che sta per prendere il volo per la prima volta? La Roma mi fa pensare proprio a questo. Stiamo crescendo. E non si spicca il volo senza aver provato e fallito. E’ sbagliato accostare la Roma di Garcia a quella americana, per esempio: “è il quarto anno, è ora che vinciamo”. Per me è sempre l’ora che la Roma vinca. Io non vedo l’ora di vivere un altro Scudetto, altri trofei. Non vedo l’ora. Solo le persone con le quali chiacchiero di Roma lo sanno, le altre possono soltanto immaginarlo. Possono immaginarlo perché se ami la Roma, provi questo. La Roma di Garcia, però, ha 2 anni ed ha bisogno di crescere. E’ fastidioso, odio pensarlo o dirlo: ero convinto (in verità*sono, ma sono un Romanista pazzo, illuso e sognatore) che questo potesse essere l’anno giusto per andare in alto, sgomitare e restarci, alla faccia di tutti e, soprattutto, di coloro che di pulito non hanno neanche la maglia, figurarsi la fedina penale, o la coscienza.  Eppure mi trovo a pensare che, evidentemente, la Roma ha ancora bisogno di crescere. Non dal punto di vista tecnico e del potenziale, perché lì la sorte ha colpito forte e senza vergogna, ma dal punto di vista mentale. Bisogna saper vincere: reggere la pressione del partire “favoriti”, non farsi tremare le gambe una volta che ci si trova lì in alto, non farsi prendere dal panico se le cose vanno male. Insomma, per imparare a vincere, bisogna crescere. E si è parlato di “attesa” per allenatori molto meno capaci di Rudi, il quale, piaccia o non piaccia, ha ridato dignità al tifoso Romanista ed ha lanciato e “bloccato” la Roma ALMENO al secondo posto dal suo arrivo a Trigoria. Due risultati positivi di fila e siamo lì, ad un passo. La grandissima voglia di vincere, forse anche a causa delle grandissime aspettative di cui sopra, forse, ci sta facendo vedere tutto molto più di nero di quello che in realtà è. Ha detto che Garcia a Trigoria lavorano NON per vincere una volta ogni 30 anni (dimostrando di conoscere la storia della Roma meglio di molti giornalisti forcaioli), ma per rendere la Roma forte e competitiva OGNI anno. E che bisogna crescere per farlo. La frase “vinceremo lo Scudetto” non era una promessa, era ovvio a tutti, ma era un tentativo di scuotere una squadra rimasta scottata da un arbitraggio scandaloso, del quale parleremo per i prossimi 20 anni, un po’ come “il gol di Turone”. Giocatori a testa bassa, spenti, sconvolti da un arbitraggio al limite dell’impossibile. Serviva scuoterli toccando il loro cuore, il loro orgoglio. Non ricordo grandi proteste all’indomani di quelle dichiarazioni, anzi.

Sento mani che si stringono intorno al collo, sento un’atmosfera che diventa rovente, sento e vedo una critica feroce che vuole la testa di Garcia, che ha già deciso che andrà via: si parla di sostituti, Mazzarri e Montella, Di Francesco. Tutti allenatori che non reggono neanche minimamente la botta con il mister francese, per risultati raggiunti, mentalità e tutto il resto. Tutto. Non è strano? Non si parla di Ancelotti, di Capello, ma del Mazzarri (buon allenatore, per carità) allontanato da Milano con tanto di risate e pernacchie. Parte della stampa, chi per interessi personali chi per antipatia, ha deciso che Garcia deve andare via: chiamare ex calciatori e chiedere loro di parlare male di Garcia, per fargli terra bruciata intorno, è solo la punta dell’iceberg.

Garcia è il mio allenatore, è l’uomo che vuole portare la Roma alla vittoria, è l’uomo espulso dallo Stadium, l’uomo che ha fatto innervosire Agnelli e Nedved al punto di scendere a bordocampo per gridare all’arbitro, perché la distanza -1 non era abbastanza, troppo poco sulla Roma di Rudi Garcia, l’uomo che ha spinto i dirigenti della Juventus a presenziare ad ogni talk show sportivo perché la “vera verità” è la loro e basta. Rudi Garcia è il mio allenatore ed io sarò dalla sua parte fino al suo ultimo giorno a Trigoria, fin quando dimostrerà di tenere alla squadra. Ha sbagliato, a volte tanto ed in maniera evidente, ma non butto tutto all’aria e rimango vicino alla squadra, vicino al mister. Impossibile non vedere il peso dei tanti, troppi infortuni “gravi” ed “inevitabili” che stanno colpendo la Roma in questa stagione, i quali, sommati agli errori della Roma (Garcia, dirigenti e giocatori) ed alle scelte oculate e precise di altri protagonisti di questa stagione, stanno mettendo la nostra squadra in ginocchio.

Sicuramente qualcuno vede davvero già finito il ciclo di Garcia, tifoso genuino il quale crede che sia ora di cambiare, senza rendersi conto che questa è la via migliore per fare un danno alla Roma, per lanciare la Juventus al solito monopolio del calcio italiano, per la gioia di molti uomini con la cravatta ben stretta intorno al collo. Non metto in dubbio che qualcuno possa davvero pensarlo. Non sono d’accordo, ma ognuno ha il proprio pensiero. Credo che sarebbe folle e stupido, illogico, esonerare Garcia e ricominciare di nuovo tutto daccapo. Ancora una volta. Garcia è l’allenatore giusto per vincere a Roma. Carattere, grinta, orgoglio, quel pizzico di arroganza e presunzione che nel calcio e nella vita servono come il pane, fierezza. Manca di fortuna, indubbiamente.

Quella di questi giorni, speriamo non di questa stagione, è una Roma da Romanisti. Abbiamo paura che la stagione si spenga in un nulla di fatto, o peggio, ma d’altro canto non vediamo l’ora che si giochi la prossima partita, che la Roma scenda in campo ancora, che arrivi la possibilità di rifarsi. Non vediamo l’ora che arrivi giovedì, anche se abbiamo paura.

Mi ferisce leggere di gente che chiede la testa di Garcia, o di questo o quel giocatore. Perché io trovo innaturale prendersela con un solo giocatore, farne il problema della squadra. E’ successo a Ljajic, a Destro, a Pjanic, a Totti e De Rossi, è successo a Castàn, a De Sanctis. A qualcuno di più, ad altri tantissimo e troppo, a qualcuno di meno. Ora è il turno di Pjanic e Garcia, soprattutto del secondo. Reo di non aver portato la Roma allo Scudetto subito. A volerla dire da Romanista pazzo, illuso e sognatore, questa cosa è ancora tutta da vedere: quanto cambierebbe il morale delle squadre, una vittoria della Roma, a Roma, il 2 marzo? Ma per parlare di questo, abbiamo ancora tempo…

Forza Roma.

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