Il Gin e lo Yang

Vi pare che vi lasciavo soli con una stagione simile alle porte? Non è che se uno si prende una vacanza extra-large dopo un anno di cura luisenriquiana deve essere necessariamente dato per disperso sulla Costa Brava a bere pinha colada con un mankini da urlo! È bastato infatti un ritiro pentasettimanale in un monastero nepalese per ridarmi un po’ di quell’equilibrio perso nel corso dell’allucinante anno appena passato.

Il fatto che poi si siano decisi a prendere (dopo una serie di portate in faccia da record, diciamocelo) uno che molti reputano una garanzia dal punto di vista del bel gioco lascia comunque ancora e sempre tutto aperto se ascoltiamo le parole dei nostri due punti di riferimenti della società: uno ti vuole far divertire e sorridere manco fosse Patch Adams, l’altro dice di volere la Champions perché è quello che ci meritiamo come piazza. Scusate, ma non basterebbe uno solo che dice però entrambe le cose?

D’altronde tutto è ancora possibile, c’è Zeman, no? Con un simile catalizzatore di attenzioni, speranze, incazzature e visioni l’unica cosa di cui si può essere certi dopo solo tre giornate è che ci saranno grosse sorprese. Ah,intendiamoci. Io sono quello che può essere considerato uno zemaniano, ma non è che se a Natale la Roma dovesse veleggiare nelle zone più infami della classifica vi racconterei la fregnaccia di aspettare. Sono zemaniano, non autolesionista, eh. Lo preciso perché vi ricorderete certo come tutti noi abbiamo scoperto (o o ci siamo scoperti essere) una serie di kamikaze intellettuali da far paura l’anno scorso, vi ricordate? Detto ciò, lo ripeto, niente allarmismi, penso proprio che la faccenda si stabilizzerà in meglio, i segnali positivi stavolta ci sono davvero. In questo senso anche il mercato fatto lascia tanto spazio aperto per le considerazioni più incredibili, ne ho avuto gran prova ieri allo stadio.

Ah già, lo stadio.

Dopotutto è per questo che intervengo a smorzare il vostro postpartita, preferibilmente di lunedì, a bocce ferme, per raccontarvi i bizzarri avvenimenti di una tipica giornata di curva. E allora partiamo.

Partiamo da chi c’era. Tutti, è facile! C’era chiunque ci fosse e non ci fosse stato l’anno passato. C’era il compleanno dell’AIRC, celebrato con una dignitosissima coreografia in Tevere (“Orgogliosi e fieri, da 40 anni… sempre al tuo fianco! AIRC 1971”), c’era di nuovo uno stadio gremito e fortemente giallorosso. 55-60.000 dicono. Voi mi direte, grazie al piffero, c’ero anche io, o credi che avessero affittato la claque? Vabbè io ve lo racconto uguale, ho già scritto una mezza paginetta ormai, non me la vorrete mica far buttare?

La sensazione più confortante appena entrati è quella, manco a dirlo, di riabbracciare la tua Sud, quest’anno con meno famigliole e più ricambio generazionale, mi è parso di poter constatare. Credo sia una questione di epoche, oltre che di campagne pubblicitarie. Ci sono anni che fungono da contrappasso, che sono legati a passaggi epocali che vanno digeriti e somatizzati. Sono anni in cui si spazza via il vecchio, per far posto a un nuovo tentativo di resurrezione. C’è chi ci crede, in questo caso tanti, c’è chi meno (e ci mette giustamente fino al settantesimo per palesarsi, ma dopo, vi assicuro, rompe per tre!). Che magnifica metafora della vita.

L’entusiasmo dopo la partita di Milano, montato inesorabilmente per due settimane (poi dice che la sosta fa bene, mannaggia a noi!), aveva portato non solo la presenza fisica delle persone, ma anche una dose di fomento di quelle sane e apparentemente difficilmente scalfibili. Se ti avvicinavi allo stadio si sentiva solo gente che se la rideva pensando di travolgere quello che aveva tutto l’aspetto dell’agnellino sacrificale di turno. Io compreso, non mi nascondo mica.

In mezzo a questo gran buonumore prepartita c’è una curva Sud che prova a ricompattarsi dopo i danni irreparabili provocati dagli ultimi anni fatti di regole mal digerite e zappe sui piedi. Uno striscione che invita il novello frequentatore della curva a Vivi la Curva, partecipa ai cori… non per i singoli ma per i colori“. Un altro prova a fare “politica sportiva”, e recita l’ennesima invettiva contro un sistema di leggi che sta senza dubbio penalizzando ormai un pò troppo la vita, già dura di per se, del tifoso da stadio (““Pur di apparire dietro uno striscione cedi al ricatto delle istituzioni. Noi senza autorizzazioni contro l’albo degli striscioni”). Personalmente avrei fatto lo striscione grande il triplo, ma avrei lasciato solo la seconda frase. Secondo me perché la prima presta docilmente il fianco a critici e malpensanti.

La partita inizia e lo stadio si accende a sprazzi, un pò come un bimbo che muove i primi passi. Entusiasta, ma pasticcione e inesperto.

La nostra giovanissima Roma 2012, invece, parte con il coltello tra i denti e dopo pochissimi minuti ci pensa quello di sempre (il Capitano) e quello di domani (Florenzi) a far venire giù lo stadio e a far gridare al miracolo della Madonna di Medjugorie ai più. Bordata clamorosa del Capitano che crepa la traversa che essendo un legno, e quindi fondamentalmente stupido, ribatte centrale proprio in bocca all’onnipresente Alessandro che segna il secondo gol di testa della sua speriamo infinita carriera romanista. In Sud si ondeggia paurosamente. L’esultanza è rabbiosa e contiene tutto il veleno ingurgitato nell’ultimo anno di buio medievale ritenuto da tutti ormai troppo lungo. Un tizio col telefonino vicino a me chiama a casa e urla “A mamma,t’avevo detto che ce dovevo da venì a sto cazzo de stadio!” Me lo guardo un attimo, vedo che avrà i suoi bravi 15-16 anni e mi rivolto verso il campo perché la Roma, con il suo assalto all’arma bianca, mi fa troppo venire voglia di guardarla. I cori vengono alzati, ma durano tendenzialmente troppo poco per fungere da accompagnamento sinfonico alla partita. C’è tanta volontà ma ci sono ancora troppi momenti di silenzio nel corso del gioco. La gente, molti, non li conosce proprio.

Ci pensa il tanto discusso Coco allora, a mettere i puntini sulle i di quello che sembra essere un avvio da raccontare ai nipotini. Strizza l’occhiolino a uno dei tanti inutili simulatori bolognesi che si butta a terra ululante al 15esimo del primo temo, percussione da destra verso il centro, colpo da biliardo con sponda e 2 a 0. Delirio puro, la ristrutturazione estiva dello Stadio Olimpico (in Curva comunque pressoché inesistente) va a farsi benedire, la gente si abbraccia come liberata da un incubo.

I bolognesi, nota squadra piena di “infamotti” calcisticamente parlando, si fanno leggermente rodere il chiccherone, tanto che il Signor “Anticalcio” Perez e compagnia cantante alla ripresa del gioco cominciano a entrare in maniera un pò troppo poco ortodossa sulle gambe dei nostri. L’arbitro Guida fa subito capire che no, non sa arbitrare (sempre pensando bene,eh?), ammonisce solamente il sicario uruguaiano. La reazione in Curva non è proprio delle più amicali e si decide di punzecchiare lui e Diamanti per il resto del primo tempo (autore di qualche piagnisteo di troppo nei confronti del bambolone colla pettorina fosforescente). Diamanti se lo merita poi, infatti non vedevamo l’ora di poterlo puntare. Ce lo ricordiamo che a 6 milioni l’anno anche tu eri disposto a fare la bandiera, peccato che te 6 milioni l’anno manco cor Win for Life (nessuno a dire il vero, credo che il montepremi sia ben più basso,sbaglio?).

Insomma finisce il primo tempo e pare la partita più facile di tutti i tempi. La gente si domanda quanto a poco finirà questa parita, si parla dei leggendari 5-0 zemaniani perché al 45esimo è questo l’unica cosa a cui qualsiasi giallorosso riesce a farsi venire in mente. Nessuno poteva immaginare che la stessa cosa la stessero pensando i nostri. Anzi, pensavano oltre. Erano evidentemente convinti di vincere 5-0 anche nella remota ipotesi in cui fossero rientrati coll’Iphone in mano. Ignari di tutto, se ne uscivano verso le 15 tutti trotterellanti dal tunnel e si accomodavano su qualche poltrona che i massaggiatori avevano diligentemente disposto per il campo in modo da agevolare le fasi di recupero dei singoli a palla lontana.

Resta negli spogliatoi Perez, sedato con una siringa di anestetico equino.

 

Comincia la ripresa e il tifoso sente uno strano malessere alla bocca dello stomaco. Sarà la pizza di gomma trangugiata in gran felicità qualche minuto prima? E invece no, è la partita ad essere diversa. Dopo un primo tempo in cui non si faceva caso a nulla perché “ammazza e che je voi dì a Taxidis, pare Viera, aò!?!”, la gente comincia a scoprire che non è tutto rose e fiori. La squadra è entrata molle in campo, mannaggia a quella schifa ma perché questa maledizione ancestrale tocca sempre a noi? Vabbè, tutto sommato stiamo sopra 2 a 0 e sembra che non faccia niente se pare che ci accontentiamo senza velocizzare più il gioco, se nell’unica occasione da gol della ripresa Agliardi fa un mezzo miracolo su un colpo di testa a botta sicura del Capitano, se Destro non acchiappa un pallone e non mette a segno uno scatto manco sotto minaccia della vita e se Pjanic fa registrare una delle sue peggiori uscite di sempre. Qualche mugugno nella tifoseria quando effettua il doppio cambio Marcuigno-Conejo per Pjanic-Coco, ma d’altro canto parliamoci chiaro, in panchina ieri c’erano una serie infinita di bimbi accompagnati dai genitori che erano venuti sperando di potersi finalmente confrontare con l’insegnante di matematica del figlio (rimanendo non poco delusi,peraltro, pare che Cangelosi di matematica non se ne intenda granchè).

Per dare quindi fiato al vecchio adagio che recita “squadra che vince non si cambia”, la Roma si accomoda e a difesa schierata permette di far cascare un cross a campanile dalla tre-quarti (neutralizzabile con forse uno tra gli interventi più agevoli da effettuare per un difensore tipo) e si fa uccellare con un altro campanile di testa a beffare il povero Ivan Piris (che meriterebbe un articolo a parte ma non ho proprio tempo, oggi). Vi dico solo che in Curva la reazione è quella che potrebbe avere chi stava già scegliendo il pizza a taglio nel quale ficcarsi dopo la partita e gli dicono che c’è un fantomatico sciopero dei marocchini infarinati. Boh, 2-0, settantesimo, almeno 40.000 persone davano la partita per finita. Vai a sapere.

I camapanili ancora stanno suonando, i nostri ragazzi (e noi) si stanno ancora a chiedere che è successo, che SBAM, una disattenzione sesquipedale permette al Bologna su nostra palla al centro di effettuare una rabbiosa e rimpallante percussione fino alla nostra area, libera il tanto vituperato Diamanti che ci secca con una volè lasciando tutti veramente di sasso. Con i volti bianchi e sbigottiti, la Curva prova a lanciare all’istante un “e facce ngò, e facce ngò, e forza Roma facce ngò!”…. Ma come potete immaginare dura poco e il seguito è quello che è. Ma non è possibile no? Che già si ricomincia? E due gioie di seguito fatecele vivere no?

Niente, mancano 20 minuti e stiamo di nuovo da capo a dodici. Tornano in superficie i minatori anti-boemo che si erano sotterrati in Cile fino al 60esimo circa, non capendo che questa castroneria rispecchia molto di più la storia prettamente romanista che quella boema. Fa niente,la stragrande maggioranza dei tifosi non ci vuole credere, e tutto sommato nemmeno la squadra, ma ormai gli equilibri sono mutati. La squadra spinta dalle ali dell’entusiasmo è un’altra. Ti accorgi addirittura che ci sono cento bolognesi in quell’angolino di Distinto Nord adibito a lazzaretto.

E così la partita scivola via verso il lento e ineluttabile epilogo. Zeman prova l’ultimo cambio levando da campo il frastornato Piris per provare la gamba di Marchignos (volenteroso, niente di più per ora) ma tutto sembra fuorchè una sostituzione per vincere la partita. La partita infatti la perdi, in maniera inesorabile, facendo recitare la parte dell’eroe di giornata a quello che ormai la nazione intera reputava un ex-giocatore. E per non farci mancare nulla, a noi tifosi non si nega nemmeno la possibilità di prenderci a testate nei denti quando Agliardi al 92esimo ci nega la gioia del 3-3 su ennesima occasione firmata Francesco Totti.

Brutta faccenda, il mutismo che avvolge la discesa nel tunnel lascia presagire tuoni e fulmini in settimana ma per fortuna stavolta non c’è la sosta. E per fortuna ho sentito il mio solito vicino chiamare di nuovo la madre a fine partita: “A mà, he cagata, io ao stadio nce venghi più!”. Ecco,bravo, stattene a casa.

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