Tanti auguri Vucinic, artista del gol

Rassegna Stampa – Il Romanista – Il gabbiano Jonathan Livingston spendeva il suo tempo nello studiare piroette, evoluzioni, avvitamenti; mentre gli altri gabbiani si industriavano nel reperimento del cibo e nel seguire le rotte consuete, sempre le stesse. L’autore del romanzo, Richard Bach, era un aviatore e forse Jonathan si sarebbe chiamato Mirko, se solo Bach avesse visto il goal all’Inter di sabato scorso, se solo avesse assistito a quella sospensione, a quella virata a mezz’aria, a quel guanto di sfida alla forza di gravità.
E quanti altri voli, quanti cerchi nell’aria e sull’erba, più da marziano che da calciatore, se ripensiamo a quella notte d’inizio novembre, musica da Champions e parole di Mirko, uno sparring partner di nome Chelsea. Come un Cassius Clay pallido sui tacchetti, punge come un’ape, vola come una farfalla: sfila la palla a Mikel, quando manca un’eternità alla porta avversaria; cinquanta metri che sembrano un volo, col compasso sempre più aperto, con l’Olimpico in una sincope d’attenzione; area di rigore come un miraggio, Terry è Golem dai piedi d’argilla, in quel caso; Mirko finta il passaggio: manda lo stadio intero da una parte e inquadra il primo palo col puntatore laser: Cech è il primo a sentire il boato, l’ultimo a capire il pallone.

E saranno sempre più i capolavori che le candeline, oggi che ne soffia soltanto ventisette, che l’autostrada di una carriera da continuare ad inventare gli moltiplica le corsie, nonostante le concorrenze, malgrado i minuti da condividere. Al di là dei numeri di una carriera in progresso di goal è consensi, quando si parla di lui è l’arte il paradigma che lo spiega: ogni partita, all’inizio, è una tela bianca. Tavolozza e colori nei suoi piedi, caravaggesco quando disegna le traiettorie che solo lui sa, post-moderno quando concepisce linee di dribbling e serpentine che reinventano il campo, come quell’altra notte che lo Sporting Lisbona se lo vide sbucare da un fazzoletto più piccolo della piccola area, birilli portoghesi per uno strike montenegrino. “Come ha fatto?” è la domanda che, quando è stato lui, nasce all’unisono col grido del goal, perchè goal non è, se Mirko non s’è scelto prima il coefficiente di difficoltà più alto che si possa trovare: gli piace così, come a Caravaggio e Benvenuto Cellini piacevano le bestemmie e le risse da taverna. L’artista va solo applaudito, quasi mai razionalizzato, che tanto non sarebbe possibile. Altrimenti, non ci saremmo sentiti Campioni, per quella mezzora di un pomeriggio torrido ed intimidatorio, in una Catania che non era quella di Verga, né di Geraldina Trovato: un angolo impossibile, una visuale psichedelica, una traiettoria che più di un pallone sarebbe occorsa una dose di acido lisergico, soltanto per pensarla. Ve ne dobbiamo proprio raccontare altri?
Come fosse una “personale”, la mostra in cui un pittore espone tutte assieme le sue tele? Sarebbe troppo ordinario e quell’ordine, quella catalogazione già lo disturberebbero, lo farebbero sentire costretto, lui che non segnerà mai un goal “borghese” ma si andrà sempre a cercare quelli più anarchici, bombaroli, dissidenti.
Ma che tra altri ventisette anni continueremo a ricordare, descrivere maldestramente, senza forse poterli paragonare a nessun altro, che nessun altro è come Mirko, nessun altro si trova davanti il difensore e al tempo stesso gli è già andato oltre. E i goal normali? Questo si starà chiedendo più di qualcuno, ne siamo certi. Quelli Mirko li lascia per strada, come spiccioli di una tassa da pagare alla tirannia del genio, ma è una tassa che paghiamo volentieri, noi come lui, se poi ce la riguadagniamo in stupore.

Buon compleanno, Principe, e un soffio leggero su quelle candeline, come un pallonetto là dove a nessun altro verrebbe in mente.

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