Rassegna Stampa – Il Romanista – «Su quella palla c’era scritto: basta spingere». Nella semifinale contro la Polonia dei Mondiali del 1982, Paolo Rossi è autore di una doppietta. Divide i meriti delle sue prodezze con Bruno Conti. Del secondo gol soprattutto. Un gol facile facile, racconta Rossi, perché il cross di Conti gli è arrivato diretto sulla fronte con una precisione chirurgica. Siamo al ventisettesimo del secondo tempo, Conti scende sulla sinistra palla al piede; appena entrato in area alza lo sguardo e vede Rossi che accorre sul secondo palo. Di sinistro colpisce sotto il pallone, Rossi deposita in rete di testa, accasciandosi lentamente in terra. “È gol di Rossi su splendida azione di Conti” si scalda il telecronista Nando Martellini. L’Italia che travolge la Polonia ha già eliminato le favorite Brasile ed Argentina. È l’Italia di Enzo Bearzot, seppellita dalle critiche dopo la prima fase, esaltata dal mondo intero nella sua corsa verso il titolo mondiale. Anche nella finale vinta 3 a 1 contro i tedeschi, Conti costruisce l’ultimo gol azzurro messo a segno da Altobelli. Questa volta la corsia è quella destra. E destro è il piede con cui serve un passaggio al bacio. È il gol della sicurezza, quello che fa alzare il presidente Pertini che si rivolge alla tribuna e dice: «Ora non ci prendono più.» Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Conti, Tardelli, Rossi, Antognoni e Graziani: questi sono gli undici scudieri. Sono i fedelissimi del commissario tecnico che, quando serve, inserisce Bergomi a puntellare la difesa; Marini quando serve corsa in mezzo al campo; Altobelli per dare alternative in attacco. È una nazionale targata Juventus con qualche «punta» di Inter. Gli imbucati al ballo esclusivo sono i fiorentini Graziani ed Antognoni e il giallorosso Bruno Conti. In questa nazionale Paolo Rossi, capocannoniere del Mondiale, ruba la scena.
Tanti intenditori però scelgono Conti. «Se fossi il c.t. di una qualunque Nazionale vorrei con me Bruno Conti» confessa con gli occhi di fuori Sir Bobby Charlton, il più forte calciatore inglese di tutti i tempi, al termine della finale Italia – Germania vinta 3 a 1 dagli Azzurri. «Conti sembra brasiliano, lui è il migliore giocatore del Mondiale» è la sentenza del più grande di tutti: Pelè. Bruno Conti, distributore inesauribile di assist geniali e vincenti, per tutti diventa Marazico, la sintesi perfetta di due campioni come Maradona e Zico.Nel 1982 Conti è il solo romanista a diventare campione del mondo in un’Italia bianconera, con sei juventini titolari fissi. Mentre, nel 2006, la Nazionale di Marcello Lippi che vince il titolo è una squadra formata da tre blocchi principali: Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Camoranesi e Del Piero compongono il gruppo bianconero; Pirlo, Gattuso, Gilardino e Inzaghi quello rossonero; Perrotta, Totti e De Rossi quello romanista. Ci sono poi: il fiorentino Toni, l’interista Materazzi, il palermitano Grosso, l’attaccante dell’Udinese Iaquinta.
Perrotta, Totti e De Rossi sono titolari in campo, in posa per la foto ufficiale, nella prima gara del mondiale in Germania vinta 2 a 0 contro il Ghana. Simone Perrotta, l’ultimo arrivato tra i prescelti da Lippi, una volta entrato non esce più. Centrocampista di interdizione, esterno, trequartista. Nella sua lunga e prestigiosa carriera in campo, ha ricoperto quasi tutti i ruoli. Calabrese nato in Inghilterra ad Ashton under Lyne nel 1977, Perrotta inizia la carriera nella Reggina poi passa alla Juventus, va a Bari, poi al Chievo. Nell’estate 2004 lo compra la Roma. Nella stagione 2005-06, Spalletti lo inventa centrocampista offensivo, quasi seconda punta. Il calciatore ha i tempi giusti, annusa Totti e capisce dove deve andare. Anche con la Nazionale di Marcello Lippi, che lo preferisce esterno sinistro del quattro-quattro-due classico, corre, difende, si inserisce, lancia, tira. Al mondiale in Germania. Lippi lo schiera inizialmente a destra, preferendolo a Camoranesi. Negli aggiustamenti in corso passerà a sinistra, in qualche occasione sostituito da Iaquinta a partita iniziata, nei casi in cui è necessaria più profondità. Mossa che Lippi ripete puntualmente nella finalissima di Berlino contro la Francia. Perrotta gioca fino al sessantunesimo; poi viene sostituito da Iaquinta. Ecco come La Gazzetta dello Sport giudica la sua prestazione, accennando anche un bilancio complessivo di tutto il mondiale: «Un po’ in riserva dopo un torneo da impazzire, non gli riescono le solite incursioni stile Roma, limitandosi a scambi stretti. Una diagonale difensiva però salva un gol. Esce ma dopo aver dato più di tutto. Voto 7». Il mondiale in Germania di Francesco Totti rischia di finire prima ancora di iniziare. Sono le 15 e 6 minuti di domenica 19 febbraio 2006. All’inizio del mondiale mancano più o meno quattro mesi. Un intervento del difensore dell’Empoli Richard Vanigli manda a terra Totti all’altezza del centrocampo. La caviglia del piede sinistro fa una torsione innaturale. Subito si capisce che la cosa è grave. Lo stadio Olimpico trattiene il fiato. I tifosi sono accorsi con la speranza di celebrare il record di vittorie consecutive che la Roma sta inseguendo.
La domenica di festa si trasforma in una giornata amarissima. La Roma vince ma il capitano finisce sotto i ferri del professor Mariani. «Frattura al livello del terzo medio del perone sinistro con associata lesione capsulo-legamentosa complessa del collo del piede sinistro» recita il referto medico. Il professor Mariani inserisce una placca per favorire la calcificazione della frattura e ricostruisce i legamenti della caviglia lesionati, fissandoli con delle viti. L’intervento è riuscito, ma per tornare in campo ci vogliono quattro, cinque mesi. Forse anche di più. Dipende da come reagisce il soggetto operato. E Totti, anche questa volta, reagisce da campione. Interi speciali televisivi sono stati dedicati alla storia della riabilitazione, degli allenamenti speciali, della rincorsa al mondiale del capitano. Una rincorsa che finirà nel migliore dei modi al Circo Massimo con Totti che saluta i tifosi adoranti stravolto dalla gioia. Sul tetto del mondo Totti ci arriva giocando un mondiale da stella a disposizione della squadra. Lippi crede in lui, ma non sempre lo rischia. Quando viene chiamato in causa Totti ripaga la fiducia con prestazioni all’altezza, arricchite da assist vincenti. Totti trasforma il rigore che salva l’Italia negli ottavi al novantesimo contro l’Australia. Anche in questo caso non mancano le ricostruzioni tv con primo piano degli occhi del capitano che prende la rincorsa, calcia e trasforma il rigore battendo Schwarzer, il lungo portiere australiano. La musica dei filmati non è quella di De Gregori della leva calcistica: «da certi particolari non si giudica un giocatore». Totti non sbaglia, da certi particolari a volte si può giudicare un giocatore. La partita finisce uno a zero. La vittoria più sofferta è firmata dal capitano …alla faccia di chi lo dava per finito, calciatore non decisivo, capace di fare il fenomeno nel cortile di casa contro avversari alla portata. Il romano e romanista Totti trascina in finale l’Italia. Gli Azzurri conquistano il mondiale ai rigori contro la Francia. Per due campioni questa partita è l’ultima con la maglia della Nazionale: per Zidane, che lascia il calcio nel peggiore dei modi; per Totti, che continua a deliziare i suoi tifosi, giocando solo con la sua amata Roma.
La finale di Berlino diventa l’ideale passaggio di consegne tra Totti e De Rossi, l’amico, il compagno, l’erede. Daniele De Rossi è un predestinato. No, il padre allenatore della Primavera giallorossa non c’entra. C’entrano invece certi segni, certi episodi. De Rossi, a vent’anni, diventa capitano della Nazionale Under 21 e vince il campionato europeo. Nella stessa stagione conquista il bronzo alle Olimpiadi di Atene del 2004, segnando un gol fantastico in rovesciata contro il Giappone nell’incontro vinto 3 a 2 dagli Azzurri. A settembre dello stesso anno Lippi lo chiama nella Nazionale maggiore per la partita contro la Norvegia valida per le qualificazioni al mondiale di Germania. De Rossi segna anche questa volta, con un tiro da fuori. A ventidue anni, il centrocampista nato a Ostia il 24 luglio 1983, indossa per la prima volta la fascia di capitano dell’Italia a Padova contro l’Islanda. De Rossi con la maglia azzurra cade e si rialza. Al Mondiale del 2006 viene squalificato per una gomitata all’americano McBride. Quattro turni fuori. Finisce nel mirino dei critici: il solito romano piagnone, attacca brighe, rovina feste. Giudizi esagerati e affrettati. De Rossi torna in campo in tempo per essere determinante. Ai rigori, nella finale contro la Francia, è il terzo rigorista della serie. Trezeguet ha appena sbagliato. De Rossi realizza e porta in vantaggio gli Azzurri. Grosso completa l’opera. De Rossi i rigori li tira, di fronte alle responsabilità non si sottrae. Uno lo sbaglia agli europei, nei quarti di finale contro la Spagna. Un altro lo segna nella finale di supercoppa 2007, vinta 1 a 0 dalla Roma a San Siro contro l’Inter. Daniele De Rossi è la bandiera romanista ai mondiali nella Nazionale azzurra che comincia l’avventura in Sud Africa.