Rassegna Stampa – Corsera – Fuoco e fiamme. La lunga intervista di Daniele De Rossi, quaranta minuti senza un attimo di tregua, mette in agitazione i romanisti, scuote i muri del Viminale, imbarazza la Federcalcio, costringe lo stesso giocatore ad una brusca retromarcia. Due frasi restano impresse: la prima sul futuro, la seconda sulla tessera del tifoso e il ruolo della polizia. «Quel che sarà, sarà», dice a proposito del corteggiamento serrato del Real Madrid e chi lo frequenta assicura che il suo futuro alla Roma non è mai stato tanto incerto. Il successivo intervento è assai più clamoroso, un tackle a piedi uniti che scatena la reazione del ministro Maroni e obbliga Giancarlo Abete (e anche Lippi) a richiamare all’ordine il centrocampista: «Se andiamo avanti con la tessera del tifoso, è necessaria anche quella del poliziotto. Per quanto mi riguarda sono contrario. Se fosse sufficiente a risolvere i problemi, potrei anche accettarla. Ma non servirà a far sparire la violenza dai nostri stadi. Non è giusto schedare una persona prima che abbia acceso un fumogeno o tirato un sasso. Il calcio è ostaggio della televisione, degli sponsor, forse anche degli ultrà, che però sono la parte positiva del nostro sport. Chi va allo stadio con il coltello in tasca non sta bene, così come quel poliziotto che ha preso a pugni un ragazzetto sul motorino dopo la finale di coppa Italia solo perché indossava una maglietta rossa».
Il riferimento è a Stefano Gugliotta, scambiato per un ultrà dai poliziotti, malmenato, rinchiuso in prigione e poi liberato: «Sulla vicenda non c’è stato tutto questo scandalo e non ho visto comunicati come quando mi sono permesso una dedica ad un familiare che non c’è più», insiste De Rossi che nel settembre 2008, dopo aver rifilato una doppietta alla Georgia di Hector Cuper, aveva dedicato i gol a Massimo Pisnoli, il papà della ex moglie, rimasto ucciso durante un regolamento di conti. Prima di cena l’inevitabile precisazione: «Mi rendo conto di aver usato un’espressione infelice e me ne scuso. Le generalizzazioni sono sempre sbagliate. Non volevo mettere in discussione il ruolo delle forze dell’ordine e ho rispetto per i poliziotti che lavorano la domenica per garantire la sicurezza».
Le parole sul futuro, invece, non hanno bisogno di smentite. «Per me giocare nella Roma è un onore e non un sacrificio. Ripetere che voglio rimanere dove sono, insieme alla mia famiglia, agli amici e a mia figlia Gaia è persino superfluo. Però…». Già, stavolta c’è un però. «Può arrivare un momento in cui la mia società ha la necessità, economica o tecnica, di mandarmi via. Se dovesse succedere non sarebbe la fine del mondo. Non andrei a soffrire. Il Real Madrid non è il Pizzighettone » . E Mourinho non un allenatore qualsiasi: «Quello che ci siamo detti dopo la finale di coppa Italia resta tra di noi. Se davvero il Real mi vuole può darsi che lui un suggerimento glielo abbia dato. Mou è un grande, l’ho detto prima che arrivasse in Italia. Ma le mie parole non devono essere scambiate per una candidatura: dico solo quello che penso, senza secondi fini».
Se De Rossi parla così è perché ha fiutato l’aria: forse, al di là delle smentite, per la verità sempre puntuali, Rosella Sensi è ingolosita dalle proposte degli spagnoli. Ma cedere il capitano del futuro sarebbe come firmare una dichiarazione di guerra contro i tifosi. La cessione è un’ipotesi, non certo la più probabile. E in ogni caso legata al mercato estero: «Perché in Italia non potrei giocare con una maglia diversa da quella della Roma»