FOCUS ON: Radja Nainggolan, l’Indonesia e i fantasmi del passato

Nainggolan
Sono le 7:00 di mattina, ti guardi allo specchio e non vedi il tuo riflesso. Perché sai che l’Indonesia e quella filosofia mistica orientale fa parte di te, della tua carne, dei tuoi pensieri che rigurgitano nel sonno. Sai che tra quel ponte fra l’Australia e l’Asia indiana, saresti un Re, perché l’Indonesia mai più vedrà un suo Rajà azzannare così famelicamente i teatri d’Europa, l’Etihad Stadium e il filtrante per Totti. Ma sai anche che, guardando dritto negli occhi tua madre, le menzogne non le sai raccontare, e per venticinque anni scappi dai fantasmi delle tue origini. O delle tue paure, il confine è sottile. Friabile. E si spezza con una porta sbattuta da tuo padre nel cuore della notte.
Tuo padre, che se ne va.
Tuo padre, che non farà più ritorno, mentre le cornette che tanto desideri non squillano e i soldi per campare mancano tremendamente. E non capisci il perché, i pianti e le grida soffocano un’inquietudine interiore che fatica a svanire. Papà non c’è.
Perché non c’è.
Sono domande che un bambino si ripete notte e giorno, e una madre, che una risposta la da sempre, non sa dare una spiegazione.
Probabilmente è proprio qui che Radja diventa Rajà, diventa Re. Re di casa, ragazzo di strada maturato in una manciata d’anni, e l’assenza di un padre è un vuoto che solo un pallone, nella periferia di Anversa, riesce a colmare. E Nainggolan cresce così, si fa uomo e diventa il calciatore che è oggi: la testa perennemente alta e il petto gonfio, le caviglie piantate tra le zolle d’erba e il fiato che non si rompe mai. Caparbio, ribelle. Tenace. D’altronde, è la scorza dura di un soldato, abituato ai crolli che il domani, prima o poi, riserva a tutti noi.

RAIN MAN E VIAGGI. Calcisticamente muove i primi passi nelle giovanili del Tubantia Borgerhout, squadra di un circostanziato sobborgo povero di Anversa, che però è essenziale, ricco. Perché qui c’è il vero riflesso allo specchio di Nainggolan, cioè Riana, sua sorella gemella. Giocano assieme, si divertono assieme. E quando un padre non torna a casa per cena, il fratello gemello è quell’ancora sprofondata nell’oceano a cui t’aggrappi, tipo Rain Man quando Charlie rifiuta qualsiasi assegno per vivere e viversi il fratello autistico.
A 12 anni, Radja si trasferisce al Beershot, formazione militante nella prima divisione belga. Ma è nel 2005 che qualcosa nel destino di Nainggolan, cambia. Muta. Si trasforma. Il procuratore sportivo Alessandro Beltrami rimane incantato dalla grinta feroce che quegli occhi allungati sulle tempie, diffondono. Ne cura il passaggio al Piacenza, in Serie B, dove, dopo una prima stagione passata più in Primavera, si conquista facilmente una maglia da titolare. E il centrocampo. E la Serie B.
E il Cagliari.

Ma l’isola sarda è un mondo profondamente differente, complicato, logorante per chi ancora non ha compiuto vent’anni. Lottare e sputare sangue ogni anno per non retrocedere, è snervante. E l’irruenza e la prepotenza dei suoi quadricipiti rischiano di minare le certezze, il futuro. Tutto. Da Gennaio a Giungo, giocherà solamente sette partite, segno di un rapporto mai realmente fiorito con Massimiliano Allegri. Finirà persino fuori rosa, dimenticato come le storie malinconiche di molti giovani calciatori che il calciatore non lo faranno mai. Si, perché quando Bisoli, nella stagione seguente, prende in mano le redini della squadra, Nainggolan è pronto a viaggiare nuovamente, è questione di DNA, c’è chi è più geneticamente portato di altri. Nainggolan è fra questi. Ma ancora non sa che la Sardegna diventerà la sua terra adottiva.

L’AMORE DI CAGLIARI E IL 2013. Qui Radja scova tutto. La fama. Un terzo fratello, Pinilla, con cui oggi condivide due carte tatuate che ricalcano i loro numeri sulla maglia. L’amore e la famiglia, in tutte le loro sfumature più colorate. L’amore di Claudia e l’affetto cronico, indelebile dei tifosi cagliaritani, realmente innamorati del loro Rajà. E poi sua figlia, Aysha, con quel nome che ricorda spontaneamente l’Indonesia, che in realtà non se n’è mai andata da quello specchio delle 7:00 di mattina. Come nel 2013, quando per la prima volta Nainggolan, forte del suo DNA, viaggia per oltre diecimila chilometri e torna a casa.
E’ vero, papà non c’è più, il suo volto si confonde nella folla ramificata tra le strade caotiche di Giacarta, ma non importa. Non serve un padre, per sentir dentro una città, una cultura, una casa. E questo, Nainggolan, venticinque anni dopo, lo ha finalmente compreso.

C’è chi nasce per star seduto sulla riva di un fiume, c’è chi viene colpito dal fulmine, c’è chi ha orecchio per la musica, c’è chi è arista, c’è chi nuota, c’è chi è esperto di bottoni, c’è chi conosce Shakespeare, c’è chi nasce madre, c’è chi danza. E c’è chi nasce uomo, lotta, combatte, si sacrifica e diventa Rajà.

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