Morgan De Sanctis, “Devi essere più forte di tutto se vuoi vincere. Vogliamo ripetere la fila di vittorie, magari tutte e 27”

Morgan De Sanctis a Il Romanista.

Gli arbitri ce l’hanno rubata a Torino? Trentuno punti sul campo.

Che vuol dire? Che è legittimo da parte della società manifestare il proprio disappunto nelle sedi competenti, che è legittimo da parte della tifoseria alzare la voce, ma poi stop, basta, punto, zero alibi, perché per quello che riguarda la squadra ’sta cosa non esiste.

Che esiste? La Roma. Esiste quello che possiamo fare, quello che può fare la Roma, quello che dipende da noi. Nello spogliatoio non deve mai entrare il virus che gli arbitri possano influire sul risultato. Mai. E se avviene, allora devi pensare che può anche accadere il contrario. Io devo pensare a Floro Flores, a Zaza, quello – l’arbitro – è un fattore che non dipende da me. Perché se pensi all’arbitro durante la partita, tra adrenalina e tifosi, sei condizionato e magari lo mandi affanculo o fai un fallo che non devi fare.

A fine partita, a Torino, nello spogliatoio tra di voi non avete parlato dell’arbitro?
Tutti i discorsi sono stati messi a posto. Se qualcuno lo ha fatto dopo un secondo ha capito che non lo doveva fare. C’è la società, io mi fido, so che se deve fare qualcosa lo fa. Ma la squadra deve pensare che ci sono 27 partite da giocare. Punto. Detto questo, contro la Roma da altre parti nessuno può e deve parlare degli arbitri. Nessuno. L’ho detto perché qualcuno giustificando i vantaggi che aveva ottenuto in alcune partite qualche giorno prima aveva chiamato in causa la Roma. Qualcuno ha detto: “Io non parlo degli arbitri oggi perché non ne ho parlato nemmeno contro la Roma” alludendo a qualche favore per noi. No, tu non devi parlare degli arbitri perché alla Roma non è stato fatto nessun favore, alla Roma non è stato dato nessun vantaggio. Ecco che voglio dire con 31 sul campo. Punto.

Ecco che vuole dire Morgan De Sanctis. Punto e basta. Anche se non è mai abbastanza tutto quello che c’ha dentro ’sto portiere che è un portento. La rima baciata gliela dovrebbe Dante dopo che te lo saresti baciato in fronte quando è venuto a ballare l’haka impazzita della felicità sotto la vetrata a Udine. Spirito ultrà. Occhi sgranati sul presente, sempre pronto all’uscita, a parare le cattiverie su questa squadra che spiega lui quando è nata («Semplice: all’Open day»). Open, apposta lui chiude tutto. Probabilmente indossa i guanti anche di notte. Ha la perentorietà che gli arriva dal lavoro e dall’Abruzzo («se sono così è perché sono abruzzese: conta tanto per il mio carattere, anche Tancredi era abruzzese ma di Giulianova, io sono di montagna»). Tancredi era portiere di quale Roma…? Sssst, ma non per essere scaramantici, piuttosto perché è tutto troppo chiaro ai giocatori della Roma quest’anno e a giocatori come Morgan De Sanctis. Le sue parole sono sassi di Guardiagrele, il paese di pietra dov’è nato e dov’è cresciuto così: a Guardia della Roma, a guardia di una fede. Piccola grande vedetta romanista: «E’ finita una fase e adesso col Sassuolo ne inizia un’altra, vedrete». Vediamo, occhi aperti come i suoi su quel volto da Shining, professionista del Fight Club della vita, e barba rossa. “Caro il mio Barba Rossa studente in Filosofia” cantava un altro grande (grandissimo) abruzzese come Ivan Graziani. E non è solo un raccordo da cretini, è proprio così. Studiavo filosofia. Mi sono iscritto all’università dopo il liceo scientifico grazie a un professore che mi aveva fatto avvicinare alla materia. Ho fatto due esami, poi il militare, poi il matrimonio e l’amore, poi ho lasciato perdere, ma magari un giorno ritorno a studiarla.

Filosofo e pirata, perché Pirata? Le avventure del Pirata Morgan, mi è stato dato a Napoli da Raffaele Auriemma. E Morgan per lo stesso motivo, a mio padre è piaciuto quel libro. Il soprannome mi va bene, ma da ragazzino mi chiamavano Super Fly, che mi piace molto e forse lo preferisco.

Come preferisci come numero di maglia, il 26 è per via del tuo compleanno, il 26 marzo? No è perché sono arrivato a fine luglio e mi sono preso quello che era rimasto. Il fatto che io sia nato il 26 marzo è una coincidenza. Anche Attilio Ferraris, il primo capitano della Roma è nato il 26 marzo. Bello non lo sapevo . Il suo motto era: “chi si estranea dalla lotta è un gran fijo de na mignotta”. Ci sta. Lo dicevamo prima delle partite con Giorgio Rumignani, in serie B. Anche questa è filosofia. La filosofia ho smessa di studiarla, ma non di applicarla. Forse è semplicemente il mio modo di pensare, è una predisposizione quella che ho di capire perché uno fa e dice certe cose. E i filosofi guidano i cambiamenti. Io anche da giovane sono stato un profilo da leader, un punto di riferimento, con gli anni, con l’esperienza, questa posizione all’interno dello spogliatoio è cresciuta. Ma più che la filosofia è il fatto di essere sensibile agli altri e alle cose del mondo.

Questo ti aiuta quando si tratta di spenderti per gli altri. Qual è la filosofia di questa Roma? Rudi Garcia. Abbiamo rimesso la Chiesa al centro del Villaggio e una squadra al centro dello spogliatoio? Mi ha impressionato quando è arrivato. Si poteva conoscere perché vai a vedere che ha vinto in Francia in una squadra come il Lille e ok lo sanno tutti, e l’idea te la fai che è bravo, ma quando l’ho conosciuto si è aperto un mondo. In due mesi ha parlato l’italiano e questo significa tanto. Non è solo la forma, ma i suoi contenuti, la chiarezza di quello che dice con chiunque. Io sapevo che ero arrivato in una squadra forte, malgardo i risultati degli ultimi due anni, io sapevo che ero arrivato in una grande Roma e se sono venuto è anche per questo perché sono pragmatico oltre che filosofo, ma quando ho conosciuto Garcia allora lì ho capito che potevamo essere grandi.

Perché che c’ha? Com’è? È chiaro. La chiarezza con gli altri e con noi, fuori e dentro il campo. Lui ha una cultura generale importante che gli permette di mantenere a tutti i livelli con chiunque un linguaggio chiaro ed efficace. Di tenere testa, di guidare le cose. Ha fatto vedere a questa Roma qualcosa che questa Roma aveva bisogno di vedere: la consapevolezza di essere forte.

A Udine ha conosciuto Spalletti, assomiglia a Garcia in qualche cosa? No. A parte il fatto che è un riferimento per tutti. Anzi c’è una differenza sostanziale.

Quale? Spalletti usava anche il pugno duro, Garcia, no per il momento viviamo nell’autorità di Garcia senza che lui abbia mai avuto necessità di essere duro.

Allora non è vero che la cena col Chievo e il doppio allenamento sono state scelte del tecnico perché ha visto qualcuno allentare la presa? No, non è vero. Giovedì abbiamo cenato solo perché giocavamo la domenica, il doppio allenamento oggi (ieri, ndr) c’è stato perché abbiamo avuto il giorno libero in più ieri (martedì, ndr). È strumentale pensare il contrario. Lo dico subito.

Cosa dici nello spogliatoio? Cos’ha di particolare uno spogliatoio che vince di fila le prima 10 gare? Questo spogliatoio è un merito della società brava a scegliere certi giocatori con certe caratteristiche. Non bisogna sminuire le qualità morali dei ragazzi che ho trovato, forse erano rimaste bloccate, magari non erano riconosciute dall’allenatore e dall’ambiente. E poi il mister ha dato consapevolezza ai vecchi e ai nuovi. Questo gruppo si è assunto le responsabilità. Questo gruppo in tre mesi ha acquisito umiltà e pacatezza, cose mantenute malgrado l’inizio straordinario ed è questo che mi dà ulteriore certezza. E poi la certezza me la dà un’altra cosa.

Cosa? L’insoddisfazione per il pari a Torino. Mi è piaciuta la reazione dopo il gol subìto e mi è piaciuta l’insoddisfazione che si respirava nello spogliatoi: è quello che mi dà la certezza che la Roma da adesso fino alla fine farà cose ancora più importanti.

All’Open Day De Sanctis disse ai tifosi: “vi faremo rialzare la testa”, dopo 10 vittorie e un pari è finita quella fase e ne è iniziata un’altra in cui la Roma è più consapevole della sua forza? Sì e inizierà domenica col Sassuolo, e spero che sia più lunga e più soddisfacente pure della prima. Siamo più consapevoli ma sempre umili. Lo possiamo fare.

Liberi anche dall’assillo del record? No, non c’entra. Mi piace pensare che quello che è successo nelle prime 11 partite possa ripetersi nelle prossime 27. Non sottovaluteremo mai l’avversario è un tranello che non ci possiamo permettere. In questo siamo saggi.

A proposito, ma ’sti saggi esistono? Ma no, io ho giocato all’estero e in Spagna ci sono i quattro capitani. Qui ci siamo riuniti una volta sola. In quell’occasione c’eravamo io De Rossi, Mire (Pjanic, ndr), Totti, Benatia e Maicon, anche per le lingue, ma il tutto è avvenuto per una cosa che non c’entrava con il calcio. Questo consiglio dei saggi non c’è, se non ricordo male quella riunione è avvenuta dopo Livorno, c’era una questione da risolvere sui biglietti per i calciatori. Questa è l’unica riunione che io possa avvicinare a quello che chiamano “consiglio dei saggi”. È vero che il mister ha alimentato la storia dei saggi, ma ’sto consiglio s’è già sciolto: non ce ne è bisogno. Borriello non è un “saggio” ma ce n’è così bisogno… Sì e quando è rimasto siamo stati tutti contenti. Marco si è ritagliato uno spazio importante, voleva andare via per il rischio che non giocasse e nonostante il mercato non abbia portato alla cessione, si è messo a lavorare come nulla fosse. E i compagni lo hanno apprezzato. Il fatto è che lui ha questa immagine mondana, che invece non gli appartiene. Noi lo apprezziamo come uomo.

Di Totti cosa apprezzate? A parte il tutto che è in campo, cosa manca di lui adesso? Francesco è meno espansivo di Marco, ma è sempre presente. Lo conosco da ragazzino, mi ha sempre impressionato che pur essendo Francesco Totti, cioè una divinità, nello spogliatoio si è sempre messo allo stesso livello degli altri. Ha una predisposizione che ha e che dà. Il suo calcio è fare cose che gli altri non si immaginano. Poi ci può stare che nei prossimi anni possa avere momenti in cui debba saltare partite, lui l’ha capito, i compagni anche prendendosi le loro responsabilità. E anche il club si è organizzato, basti pensare all’acquisto di Ljajic.

È tutto organizzato nella Roma di Garcia e di De Sanctis, eppure vi dicono fortunati. La fortuna è quella che ti cerchi no? Allora sì siamo fortunati. Se un portiere sviene o ti danno tre rigori, in quel caso sì, è fortuna. A noi non è successo, quindi… Io non ho fatto 20 anni alla Juve, ma so cosa significa essere in testa e diventare antipatico, si crea il gufaggio, ma di che stiamo a parlare, se vuoi vincere devi essere più forte di queste cose.

I tifosi, quanto contano? Tu hai fatto riferimento all’Open Day, prima di farlo con i compagni si discuteva sull’opportunità, ci chiedevamo. “La società ha fatto bene o no?”. Io pensavo di no, sentendo quello che si diceva. Poi ho fatto questo Open Day e anche quelli che si erano preoccupati, alla fine, si sono accorti che è stata la più grande manifestazione di affetto che potessero fare i tifosi dopo due anni di delusioni. Il tifoso della Roma è grande, rispettabile, magico, fantastico, e mettici tu gli aggettivi perché ci stanno… Il tifoso della Roma per me appena arrivato lo ha dimostrato già lì, nel momento più delicato. Non pensavo di parlare in quell’occasione, ma è successo, mi è venuto. Certo questa striscia non ce l’aspettavamo, ma che sputavamo sangue io lo sapevo. E questo ho detto. Quel giorno è stato importante.

Quale è stato il più importante? Forse la prima a Livorno, forse il derby, ma Udine è stata strepitosa. Soffrivamo in 11 e poi in 10 abbiamo giocato meglio e vinto… Questa Roma sembra dover soffrire, partire penalizzata, per volare, stravincere, sognare… E’ nelle difficoltà che si trovano le motivazioni, ma questo è un discorso – come dire – molto italiano, e mi auguro che questo per noi non valga o non solo questo. Anche perché è difficile che riesci a vincere dopo aver toccato il fondo all’interno della stessa stagione. I tifosi contano e conta essere tifosi del proprio lavoro.

Chi è il giocatore più tifoso che hai conosciuto? Pinzi stava in Nord il 26 maggio.

De Rossi? Ovvio, ma io mi riferivo alla mia esperienza personale. La percezione di Daniele ce l’ho ora, in Nazionale non avevo modo di comprendere appieno quanto fosse romanista. Il 26 maggio…

Quel 26 te lo sei caricato sulle spalle? Ci può stare, ma non ho pensato al 26 maggio quando ho scelto il numero, te l’ho detto. Però che simbolicamente l’ho caricato sulle spalle ci può stare. Non era il mio pensiero, ma scrivi così perché è giusto.

Alleggeriamo il carico: il film della tua vita? Le ali della libertà. Si tratta sempre di Super Fly… L’attore. Edward Norton.

I libri? Leggo poco.

La canzone. L’emozione non ha voce.

Senza voce, cosa hai da dire ai tifosi, cosa vuoi dire ai tifosi della Roma? Chiedo di stare vicini alla squadra. Se hanno dimostrato quel giorno di essere così vicini, così intelligenti, così grandi… Io un po’ ero arrivato prevenuto, con i racconti dei compagni che avevano sentito i malumori della piazza, ma lì sono rimasto sorpreso. E’ stato bello ricredersi, è stato bello. Ora nessuno ha più paura.

Sai che la Roma per molte persone significa tanto, può rendere migliore una vita difficile o più semplicemente più bella la vita. Lo so. Vivere nel privilegio ti può portare lontano dalla realtà. Ma non è vero che i giocatori sono superficiali. Anzi, si rendono conto e capiscono che non ha senso tutto il benessere che abbiamo. Io sono assolutamente consapevole che significa la Roma per molte persone. Vengo da una città dove la squadra era un elemento di riscatto e di rivalsa. Napoli è perennemente in crisi di identità, in crisi sociale. Roma non si distacca molto dal punto di vista del rapporto squadratifosi. C’è amore. Però per un giocatore sentire questo, sentirsi responsabilizzato oltremodo può essere un limite. Non per me. Se in una rosa di 25 giocatori ne hai una decina che sentono e sanno sopportare questo hai un gruppo eccezionale, ma non puoi caricare tutti così, soprattutto i più giovani. Io però ci credo a queste cose.

Alle lacrime di Balzaretti? .

Vi siete commossi anche voi? Sì. Come fai a non commuoverti. Ti immagini un disegno che magari non è divino, ma che rappresenta la voglia di riscatto. Dopo le critiche, il palo, la disperazione, il gol… le lacrime di Federico… E queste cose ti aiutano.

Hai idea di cosa significa la Roma? Anche questo.

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