Da Zeman ad Andreazzoli non è cambiato molto. Roma molto simile, risultati altrettanto speculari, andamento delle gare pressoché identico. Come altre decine di volte i giallorossi dominano per una frazione, mancano gol a ripetizione, calano a gara in corso, mostrano a tratti una sufficienza che fa arrabbiare, restano vittima di errori arbitrali marchiani (anche se trovo particolarmente sospetto il fatto che solo oggi certa opinione pubblica se ne sia accorta). E’ la prima sconfitta del nuovo corso, in realtà si è in continuità con la squadra vista finora e non poteva essere altrimenti visto che, dopo tre allenamenti effettuati con il nuovo allenatore, a tutti è possibile imputare qualcosa eccezion fatta per Andreazzoli.
Che, tuttavia, si trova a fare i conti (quantomeno) con una evidenza: la rosa è sopravvalutata. In campo i calciatori continuano a mostrare di non essere competitivi per le prime posizioni di classifica: danno in maniera costante una scarsa idea di coralità e non sembrano un gruppo. Due elementi che rimandano in modo diretto ad altrettante evidenze: lacune tattiche e carenze caratteriali. Elementi senza i quali non si vince.
Né con Zeman né con Andreazzoli né con altri. Da settembre la Roma viene indicata come una delle rose migliori del campionato, da inizio stagione si dice che sia doveroso il terzo posto. Alcuni lo dicono da tempo e in buonafede, i tifosi. E da tifosi tutto è giustificato dall’amore viscerale. Altri lo ribadiscono da tempo sui canali sportivi nazionali a pagamento e gratuiti. Ma è sempre parso (almeno a me) che lo facessero in malafede. E che lo facessero non animati da un interesse nei confronti della Roma ma per idiosincrasia (avversione, ostilità) verso Zeman.
E quello che da sempre rappresenta.
E’ anche per questo che la figura di Zeman, per i romanisti, non è mai stata solo quella di un allenatore. E’ anche per questo che per un romanista vincere con Zeman avrebbe avuto un sapore particolare. Sarebbe stata la ciliegina della torta: non perché Zeman sia più importante per un romanista della Roma stessa ma per il fatto che quei capisaldi così bene incarnati in Zeman sono valori sportivi, umani nei quali un romanista si riconosce. E tutelare, sostenere quei principi non è significato e non significa attribuire a Zeman maggiore importanza di quanta ne abbia la Roma, semmai è il modo per ribadire con forza che NOI SIAMO QUELLA ROBA LI’. Tutelare capisaldi e principi, difendere la MENTALITA’ per un tifoso, dovrebbe essere tanto importante quanto il risultato.
Ecco perché – al di là della disquisizione prettamente calcistica – la stima incondizionata per Zeman, ecco il motivo di tanta amarezza per gli avvenimenti recentissimi. Ed ecco perché, a mio modo di vedere, intorno ai fatti di queste settimane ci si trova – tutti – con le ossa rotte. Non è solo una spaccatura legata ai pro o contro Zeman.
A chi è favorevole o contrario al suo calcio. E’, mi pare, una divisione netta e palese di intendimenti. Sono due modi di vivere, percepire e sostenere lo stesso bene comune. LA ROMA. Da una parte la Roma che deve vincere, dall’altra la Roma che non deve smettere quel suo modo di vivere il calcio. Vincere con Zeman sarebbe stata l’apoteosi. Non è successo e ha fatto male a tutti.
Perché le spaccature si sono acuite con la sensazione che ciascuno dovesse trovare il suo responsabile: per chi il Capitano, per chi la società, per altri i calciatori, per alcuni il tecnico. Nessun risultato contro la Sampdoria avrebbe rimesso le cose a posto, neppure una eventuale vittoria: già pronti, in quel caso, gli zemaniani a rinfacciare alla squadra la grande prestazione rispetto alle scialbe messe in mostra in precedenza. Saranno mesi difficili nel corso dei quali la vittoria in Coppa Italia potrebbe essere viatico per non buttare al vento una stagione ma occorre voltare pagina. E credo che il modo migliore per farlo sia quello di ridimensionare il valore di questi calciatori.
Non dovessero farlo gli addetti ai lavori, lo facciano almeno i tifosi. Non è una rosa competitiva per un posto in Champions. Può lottare per l’Europa League. Lacune tattiche e carenze caratteriali. La gara contro la Samp lo ha rimarcato. Inutile andare a cercare responsabili, dire che aveva ragione Zeman, sostenere che è tutta colpa del boemo, ribadire che la società dovrebbe dimettersi e via dicendo.
E’ una Roma che sul campo dimostra di valere meno degli avversari di turno. E’ una Roma che anche con la Sampdoria ha commesso errori evidenti in fase di contenimento, impostazione e finalizzazione. Da De Rossi a Pjanic, da Totti a Burdisso passando per tutti gli altri. E che non sia una squadra lo dimostra l’episodio del calcio di rigore: mai Osvaldo avrebbe dovuto chiedere a Totti di calciarlo – anche solo perché esistono gerarchie nello spogliatoio – e mai Totti avrebbe dovuto lasciargli quel pallone. Due errori altrettanto gravi. Osvaldo per sfrontatezza, egocentrismo. Totti per accondiscendenza.
Avrebbe dovuto metterlo a tacere, rimetterlo al suo posto. E perché non lo abbia fatto è francamente difficile spiegarselo senza richiamare alla memoria le parole di qualche tempo fa di Claudio Ranieri, secondo cui il Capitano, nello spogliatoio, è più solo di quanto si creda. Me lo fa pensare il fatto che, non fossse così, a uno come Osvaldo non dovrebbe neppure venire il coraggio di chiedere a uno come Francesco Totti di calciare un rigore sull’1-0 per la Sampdoria.
E se accade qualcosa di simile, dopo tutto quello che già è successo in poco più di una settimana, la società stavolta non pùò ignorare. Intervenga e ristabilisca l’ordine delle cose. Non dovesse farlo, sarebbe forse più facile tirare la riga, fare le somme, attribuire responsabilità per quanto accaduto durante l’intera stagione.