Una squadra di prime donne

Una squadra di prime donne.   Da quando mondo è mondo il calcio nasce come gioco di gruppo in cui davvero l’unione fa la forza e le motivazioni contano più della classe e della bravura dei singoli.   Gli atteggiamenti visti alla Roma in queste settimane sono assolutamente fuori luogo, indipendentemente dalle cause che li hanno scatenati.   Non giocare è frustrante, sopratutto se spesso  viene preferito chi si trova in una fase calante della sua stratosferica carriera, ma vedere ogni lunedì aprirsi con un caso a Trigoria non lascia indifferente la tifoseria giallorossa. Il tecnico è in difficoltà e questo è sotto gli occhi di tutti, ma al suo fianco non c’è un minimo di collaborazione.   Ogni sua scelta fa inviperire un giocatore, che si lamenta durante la settimana, fa scoppiare il caso, e come conseguenza del teorema fondamentale del calcio a Roma, la domenica successiva è in campo, seppur immeritatamente.    Ci siamo spesso trovati nella nostra storia recente a fare i conti con una rosa poco competitiva e composta da ricambi non all’altezza dei titolari.   Quest’anno sembrava invece essere iniziato nel migliore dei modi, con una squadra con un potenziale da vertice e ricambi ottimi. Come al solito invece siamo riusciti a rovinare anche una situazione rosea come questa.   I calciatori prima di tutto devono essere dei professionisti, e accettare le scelte, seppur spesso discutibili del Mister, e dimostrare in campo il loro valore. Come al solito non vedo in questi ragazzi la cattiveria agonistica necessaria a vincere.   In campo camminano e non si aiutano a vicenda. Ognuno cerca di risolvere la situazione con giocate personali e non viene accompagnato da tutta la squadra. Ed è per questo motivo che di fronte ad alcune compagini, tecnicamente molto inferiori rischiano delle figure barbine perchè non giocano per un obiettivo comune, ma per i propri interessi.   Giocatori come Cassetti, Riise e Burdisso sono certamente poco dotati rispetto ad altri loro compagni e spesso commettono degli errori, ma sono dei veri professionisti: non polemizzano quando vengono sostituiti e giocano con determinazione e costanza. Urlano, si arrabbiano e gioiscono il triplo quando la squadra vince. Bisognerebbe ripartire da loro, o da ragazzi come loro, umili e disposti a mettersi a completa disposizione della squadra. Gli individualismi non hanno mai portato lontano e di esempi ce ne sarebbe a migliaia. Tre lavoratori in un gruppo di prime donne non può bastare però. Se si vuole iniziare a vincere si deve mettere da parte l’Io postponendolo al Noi, ma questo si sa è più facile a dirsi che a farsi soprattutto in una squadra in cui ognuno può fare e dire quello che vuole.

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