De Rossi, il passato e presente della Nazionale

Rassegna Stampa – Il Giornale – Ci tiene vivi quello che ci stava ammazzando. De Rossi dietro, De Rossi avanti: uno che a Berlino c’era,uno che c’è oggi, uno che ci sarà dopo. L’Italia è lui: luci, ombre, errori, grinta, voglia. Giovani, vecchi e in mezzo Daniele. Dov’era sul gol del Paraguay? Fregato lui, fregati tutti. Cannavaro non salta più. Non conta neanche sapere di chi sia la colpa. Fabio, De Rossi e in mez zo Alcaraz: due campioni del mondo contro uno che quest’anno aveva segnato zero gol. La prende lui, il paraguaiano. Possi bile? Possibile. L’Italia s’inceppa sul buco di Daniele e su quella faccia deformata di Can navaro, quando sbatte sul braccio dell’avver sario: è il gol che ci azzoppa nel primo tem po. L’Italia si aggrappa all’esultanza di De Rossi sull’uno a uno. Campioni del mondo sempre e comunque, almeno fino all’11 luglio.

A Città del Capo, Germania 2006 esiste ancora. Esiste nelle facce e nelle gambe stanche. Cannavaro, De Rossi, Lippi, Buffon. Anche Gigi che lascia alla fine del primo tempo. La schiena, maledetta. È l’eredità di una squadra che non è più quella di quattro anni fa: ci so no loro, senza essere gli stessi. Fabio guarda in alto a fine par tita. Lippi guarda a terra. Si chiedono il perché e immagi nano domani: li metteranno in croce, li metteremo in cro ce. Sanno che è inevitabile: Fabio è il capro espiatorio di questa Nazionale, la faccia vecchia in un’Italia di giovani. Marcello è il responsabile a prescindere: quello che mette in campo una squadra senza il capocannoniere del campionato e senza il secondo italiano della classifica marcatori. Di Natale-Pazzini: 49 gol in panca, a scaldarsi nella notte gelida del Sudafrica. Fabio, in vece, in campo. Lui che non avrebbe neanche dovuto esserci.

Allora De Rossi, la via di mezzo,l’anello di congiunzio ne tra allora e oggi, tra quel gruppo che s’è preso il mondo e questo che esordisce. Perché adesso lo sappiamo: questo non è il mondiale della genera zione di Berlino. Per quei redu ci sarà il saluto. Allora fuori Fabio, fuori anche Gigi, dentro Daniele. Lo vedi che sarà così: ci sono stagioni che si chiudono quando credi che possano ancora continuare. Quando Cannavaro chiude gli occhi vuol dire che è finita: uno a uno è il minimo sindacale che racconta la voglia e un errore enorme. Fabio e Daniele, di chi è la colpa? Se la dividono. Non si sbaglia così: il ritardo nello stacco,la posizione,l’im­possibilità di saltare. Stracciati da un Carneade. Fabio non è mai stato alto, ma di testa l’ha sempre presa: quando sei il più forte ti mangi anche i centi metri, quando sei il più pronto anticipi anche un colosso, quando sei il più intelligente la prendi anche con i furbi. Da niele uguale.

Il pallone ha bisogno di sim boli. L’Olanda ha Sneijder, la Spagna ha i suoi giovani. Noi avevamo Fabio e adesso ci prendiamo De Rossi. Che strin ge i denti, che sbaglia, che si fa fregare come un pollo su un colpo di testa, ma poi va avan ti, sale col petto in fuori, alza la testa, si rimette in cammino. Un gol facile, certo. Un gol. Segue quello del rigore contro la Francia a Berlino, perché è sempre così: ci vuole uno che porti lo spirito di un gruppo in un altro gruppo. È De Rossi? La sfida contro il Paraguay ha detto di sì. Perché avrebbe po tuto essere la rivincita di Can­navaro e invece no. Fabio c’è anche se non sel’erameritato. Lippi l’ha chiamato per primo: imprescindibile, determinan te, fondamentale. Come a dire che senza Fabio non c’è Italia. Berlino è finita, ma non si può cancellare. Però Buffon non è lo stesso, Zambrotta neanche, Camoranesi neppure. Noi abbiamo ancora negli occhi quelli di quattro anni fa.

Dimentichiamoli e prendiamoci Daniele che sbaglia e rimedia, che magari a volte non trova il tempo giusto della dichiarazione, ma poi gioca: le prende, le dà, costruisce, distrugge. È un simbolo perché non abbiamo più eroi.È un’icona della fatica e ce la teniamo, perché il talento l’abbiamo lasciato a casa. Gli daranno una fascia, un giorno. Come è stato per gli altri. Cannavaro è stato una colonna: uno a cui aggrapparsi quando non se ne ha più. Lui veniva fuori tranquillo, un metro prima degli altri, due metri davanti agli altri. Pu-li-to. Lo spavaldo che ti prende per mano per farti sentire sicuro: andiamo, non c’è problema.Ora qualche problema c’è, però abbiamo uno che ce l’ha risolto.

L’Italia ha sempre avuto un campione, quando ha pianto e quando ha trionfato: Rossi nel 1982, Baggio nel 1990 e nel 1994, Vieri nel 1998, Totti nel 2002 e nel 2006. Cannavaro spuntò a un certo punto: sape­vamo chi fosse, non sapevamo che sarebbe stato così. Adesso vale per De Rossi: sbaglia e rimedia. Ci punisce e ci fa risorgere. Non è tanto, per ora basta.

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