Scudetto, la Roma deve crederci

Due punti rosicchiati all’Inter sabato, altri due al Milan oggi: la Roma c’e’ e continua a crederci. Sognava, la Roma. Poi ha sperato. Ora ci crede. Lo scudetto è lì, batti l’Inter sabato, allunghi la mano. Poi, la domenica sera, tifi Lazio per una volta: che vada dal Milan a prendersi altri punti salvezza. Prima, però, c’è da vincere a Bologna, di mercoledì sera, perché è chiaro che Mou farà a fette il Livorno, che il Parma non fermerà Leonardo: lo dice la scaramanzia, fedele compagna di ogni volata, quando conta quello che fai tu e molto cosa fanno le altre.

Eccola, la settimana da raccontare, con questo ultimo turno feriale che è la perfidia di un giallista: vorresti arrivare in fretta al finale, ma la storia, la storia di questo campionato pazzesco, riserva ancora chissà quanti colpi di scena. La verità tecnica è che la capolista è distratta, ha perso smalto, e il Milan dietro annaspa fra anagrafe e acciacchi. La Roma, invece, vince senza Totti, senza De Rossi, senza Pizarro: la volta che la regia tentenna, ecco in scena i grandi attori, quelli col pedigree, i mattatori di giornata alla Vucinic. Tutto può succedere, ma un pronostico già si può fare: sarà un lungo sprint, appassionante, fra salite d’animo, discese, ruzzoloni e prodigiosi recuperi. E’ così in testa.

Ma anche laggiù nel fondo vige una tensione che fa tremare i polsi. La Lazio ha espugnato Cagliari con una personalità inusuale per la magra stagione: si è messa alle spalle presidente e motivatore, ha fatto gruppo, ha segnato due gol d’autore, ha ritrovato i dispersi, da Mauri a Kolarov, ha serrato i ranghi dietro (quarta difesa del campionato), ha urlato al mondo che il fantasma della B non la terrorizza più. Mercoledì ospiterà il Siena con in testa solo un lavoro da completare, riprendere un margine rassicurante in vista di un calendario perfido. Ecco, se la Roma è pronta allo sprint, la Lazio è pronta all’allungo. Non mollare, non voltarsi: meno di due mesi d’apnea e una brutta pagina di storia da archiviare col lieto fine. O forse più d’uno.

Fonte il Messaggero

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