Il Var che non aiuta gli arbitri in campo

Il Var in sà© non c’entra, anzi: il protocollo non é cambiato, il suo impiego neanche. I numeri dell’Aia dicono che l’utilizzo é sostanzialmente lo stesso della seconda parte della stagione scorsa. Ma c’é un “ma”. Che in qualche caso si sovrappone alla voglia di un arbitro di sentirsi “gratificato” dalla propria direzione: si é in effetti ingenerata la convinzione in molti direttori di gara secondo cui per dire di aver arbitrato davvero bene non devi aver ricevuto “aiutini“.

Ovvio: l’obiettivo di tutti é non commettere errori e in questo senso avere il supporto di un assistente seduto davanti alla tv con la possibilità  di vedere i replay in tempo reale dovrebbe essere ritenuto da tutti un aiuto irrinunciabile. A volte perಠcapita di farsi tradire dalla voglia di dimostrare di non averne bisogno. Il motivo é semplice: nella mente di tutti o quasi, il Var pi๠che aiutare, “corregge”. E se c’é bisogno di una correzione, vuol dire che c’é stato un errore. Probabilmente non é il caso del pi๠che discusso episodio Simeone-Olsen in Fiorentina-Roma di sabato pomeriggio, quello che ha fatto infuriare il ds giallorosso Monchi. A differenza di come la veda il dirigente romanista, la – é la convinzione dei vertici arbitrali – la revisione al monitor non sarebbe stata una scelta corretta. Perchà© il Var Orsato ha confermato lo stesso contatto tra attaccante e portiere che aveva convinto l’arbitro Banti a fischiare il rigore.

Se pure avesse dato un’interpretazione diversa del gesto rispetto al collega in campo, non sarebbe stato abbastanza per suggerire al collega di correre a bordo campo per rivedere le immagini. Discorso diverso invece per la direzione di Mariani, in Juventus-Cagliari: il fallo di mano di Bradaric lui, che era a un metro, l’aveva interpretato subito come un tocco di spalla. Il monitor avrebbe dovuto dargli elementi sufficienti per dubitare seriamente della propria percezione – eufemismo – ma lui é rimasto della propria idea. Convinto forse che i dubbi fossero tali da non giustificare una riforma della decisione presa. Insomma, la paura di dire “ho sbagliato” puಠaverlo tradito. Lo stesso errore lo fece Manganiello in Bologna-Udinese, controllando il monitor ma senza poi correggersi. Sbagliando. Inutile dire che é anche una questione di curriculum: senza una buona esperienza il rischio di sentirsi sotto esame e di non voler dare l’idea di aver bisogno di un tutor esterno per dirigere bene una partita é un rischio sempre dietro l’angolo.

Soprattutto per chi teme di non essere confermato nell’à©lite degli arbitri italiani o ambisce a ottenere la qualifica di internazionale. E ogni arbitro sa che un ricorso eccessivo all’assistenza video rischia di pesare quasi quanto un errore grave nelle valutazioni che portano alla graduatoria di fine stagione, comunicata a tutti i direttori di gara dopo il 30 giugno. Nella valutazione degli errori da Var, perà², c’é pure un altro aspetto da mettere sulla bilancia: l’attenzione della critica. Se nella prima stagione della moviola in campo gli addetti ai lavori avevano mostrato una certa tolleranza degli errori, oggi l’aspettativa – a cui ha contribuito il successo nel Mondiale – é altissima. Il Var perಠnon potrà  cancellare ogni errore: puಠridurre la possibilità  di sbagliare. Nelle mani dell’arbitro resterà  sempre una fetta di discrezionalità . E il rischio di finir vittima della vanità .

(La Repubblica, M. Pinci)

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