RASSEGNA STAMPA – LA REPUBBLICA
Una fotografia nitida e impietosa dello stato di salute del calcio italiano. Il rapporto annuale della Federcalcio certifica i mali di un sistema checontinua a bruciare più di 300 milioni e conta debiti dei club professionisti per 3,7 miliardi. Tutto questo nella stagione (2013-2014) che ha visto crescere il fatturato globale, un impercettibile +1,2%, in controtendenza rispetto al Paese del quale resta fra le 10 industrie più grandi. È un pianeta privo d’ossigeno, incapace di nutrirsi dei ricavi da stadio, attaccato al respiratore dei diritti televisivi. In vetrina mette un campionato di Serie A che vince tutti gli Oscar negativi: è il più vecchio d’Europa (27,3 anni l’età media), gli stranieri sono più della metà (54,1%, solo Cipro e Inghilterra stanno peggio), è all’ultimo posto per giocatori prodotti dal vivaio (l’8,4%) e gli stadi hanno in media 62 anni. «È necessario ora più che mai l’ingresso di capitali stranieri. Il Milan alla Cina comunista? Credo che i soldi non abbiano ideologia», dice l’ex premier Enrico Letta, milanista, direttore della fondazione Arel che con PwC ha curato il Report Calcio. Il presidente Tavecchio, scottato dal caso Parma, tuona: «Chi vuole fare calcio in Italia deve avere i mezzi. Basta con la mentalità di chi vuole vivere solo della mutualità, godendo dei contributi statali o federali».
Al di là degli auspici, il Report è privo di segnali di ripresa. Il 19% del fatturato lordo in A deriva da plusvalenze: quando non sono giochini contabili ma incassi reali, implicano comunque il sacrificio dei pezzi migliori. Un club che deve sempre vendere per far quadrare i conti ha prospettive ridotte di sviluppo sportivo e finanziario. Quanto al fatturato netto, in Italia le tv incidono per il 53% (in Spagna il 48%, in Germania il 31%), i ricavi da stadio solo per il 10% (il 23% in Liga e Bundesliga). La differenza, da anni, è tutta qui.
Sopra questo sfondo, ecco il derby di Roma, spostato a lunedì dalla Lega su richiesta della Lazio fra le ire giallorosse e imposto alle 18 dal prefetto Gabrielli, in linea con la decisione del suo predecessore Pecoraro di vietare la notturna dopo i disordini del 2013. La sfida n. 142 in A vale molto di più dei tre punti, del secondo posto, della consolazione di finire “davanti”. In ballo c’è la concreta possibilità di programmare investimenti, disegnare prospettive di crescita, migliorare il posizionamento sul mercato europeo. Diventare grandi. Garcia lo ha detto domenica sera: «Il derby è il nostro preliminare».
Il secondo posto regala i gironi di Champions, il terzo, da difendere dal ritorno del Napoli, è solo un biglietto della lotteria (andata 18-19 agosto, ritorno 25-26). Fin qui, agli spareggi l’Italia ha perso una squadra 4 volte su 6. Per Lazio e Roma l’insidia del terzo posto è massima: nessuna delle due sarebbe testa di serie nel sorteggio del 7 agosto. E fra le cinque possibili avversarie, tre saranno Manchester United, Valenciae Bayer Leverkusen. Quasi un ottavo di finale. Le altre due potrebbero essere Ajax eShakthar, se passano il primo preliminare, o Sporting Lisbona (già ai play-off).
Secondo il report Figc, giocare la Champions e non l’Europa League significa un impatto di +50,1 milioni sul fatturato e di +20,2 milioni sul bilancio. Fra chi va in Europa League e chi invece resta fuori dalle coppe la differenza è di 19,6 milioni sui ricavi e 3,6 sul risultato netto.
La Juventus quest’anno ha avuto 24,4 milioni di premi Uefa, 11,8 di incassi, 50 di market pool: aggiungendo i soldi come vincente (10,5) o perdente (6,5) la finale, e l’incasso (3,7 milioni), può arrivare a 100 milioni tondi. La Roma nella semestrale ne ha iscritti a bilancio 49,2. Ma l’anno prossimo i premi aumentano del 33%: il girone vale da solo 12 milioni (non più 8,6), ogni vittoria 1,5, il pari 500 mila euro. Lazio-Roma, lunedì, non è un derby. È un jackpot.