Matinée

È durato poco però perché l’alcool, si sa, da una gran schiarita alle idee e al terzo vodka tonic avevo già deciso: “appuntamento alle 10 alla palla, chi si estranea dalla lotta….!”.
Arrivato quindi all’alba allo stadio (tipo le 10 e mezza 11) mi sembra di attraversare Villa Borghese. Bambini colle biciclettine, papà mamma zio e zia che si fanno le foto coi pargoletti sui pony, cuori, soli (ma de che), villaggi, insomma sembra tutto fuorché l’avvicinamento a una delle partite storicamente più sentite dai tifosi giallorossi. Sarà perché i bergamaschi son simpatici come un calcio nei denti, ma noi alla tifoseria atalantina ci teniamo tanto. Per rendere al meglio l’idea, diciamo che è una di quelle squadre che “può” tranquillamente essere insultata nel corso di ogni partita, un po’ come un Lazio/Napoli/Juve merda con cui non sbagli mai.
Raggiunti gli spalti mi accorgo che, pur con uno stadio desolatamente semivuoto, la grande cerimonia dell’Hall of Fame è già iniziata!

Le parole dei protagonisti della hall of fame giallorossa

Quando sbuco dal tunnel anch’io, stanno chiamando Giannini. Il Principe di Frattocchie viene accolto con un boato che provoca subito una stretta al cuore, visto che è stato il capitano di quando ero bimbo. Mi sistemo tra gli applausi e chiedo a destra e manca a che punto stiamo, come funziona, che devono fa? “Nte preoccupà, stanno ancora a chiamà li cucchiai de legno!”. Minchia, son tanti i cucchiai de legno. Oltre al Principe ci sono Cudicini, Da Costa, Del Sol, De Sisti, Graziani, Moriero, Ferraris IV, Panetti, Peirò, Rizzitelli, purtroppo anche Tommasi, Vierchowood, Ginulfi, Chierico, Prati e tanti altri protagonisti che tutti i tifosi romanisti (molto pochi a dire la verità) portano così profondamente nel cuore da provare sincero dispiacere per non poterli portare tutti nella Hall of Fame da oggi.

 

Chiamati i secondi arrivati, uno spererebbe in un upgrade dell’atmosfera, ma le solenni marce funebri morriconiane diffuse dagli altoparlanti dell’Olimpico non lasciano spazio all’allegria, ma soltanto a grida e lamenti rotti dall’emozione. Anche il fatto che siano le undici e mezza di mattina e che il 70% della popolazione da stadio alberghi ancora tra le braccia di Morfeo non aiuta. Un botto, un fuoco d’artificio, una cascata di coriandoli, un giro di campo di Romolo che si tira giù le mutande in mezzo al campo, evitare la diretta televisiva dell’evento per “costringere” i tifosi ad andare allo stadio, un’idea qualsiasi che smuova questa messa cantata, insomma, ma niente. Il momento più ilare è senz’altro il tronfio ingresso in campo di James Pallotta, la cui presenza era peraltro quotata dieci a uno.

Ahi noi, la musica si fa ancora più solenne. Gli undici “famers” (che fa molto Maria de Filippi) vengono chiamati uno a uno e fatti disporre in mezzo al campo simulando una formazione, e devo dire che fa un certo effetto vedere il centrocampo presidiato da una signora colla borsetta che pare stia aspettando il 36 barrato. Giro del campo in macchina, sosta con foto ricordo sotto la Sud, lacrime a dirotto di trichechi di 200 chili commossi al solo pronunciare del nome di Agostino, applausi e saluti d’ordinanza e poi via, in fretta e furia, che tra mezz’ora c’è la partita. Eh già perché adesso si fa sul serio. Lo stadio nella mezz’ora prima dell’evento si affolla notevolmente tanto da riuscire, a giochi fatti, a tenere il ritmo delle prime affluenze casalinghe. La Roma non vince da aprile ma noi siamo di nuovo qua. Cambia tutto, sembra quasi anche la gente. Dopo i baci e gli abbracci infatti, non sembra si respiri un’aria proprio distesa. Le scelte fatte per questa partita da Zeman vengono dopo una settimana decisiva per quanto riguarda gli equilibri interni; la Sud decide quindi che, per il bene della Roma, è giunta l’ora di scegliere responsabilmente da che parte stare. In quest’ottica, possono leggersi gli striscioni esposti all’inizio della partita:

“Voi uomini senza onore, noi fieri del nostro amore!” e quello ancora più vistoso “La maglia è onorata solo se sudata, da oggi chi tradisce è meglio se sparisce, questa Curva merita rispetto!”

Non solo, voltandosi nel corso della sciarpata iniziale, si può scorgere un nutrito numero di stendardi e gagliardetti inneggianti al boemo, a cui la Curva sembra abbia deciso di affidarsi totalmente. Comunque vada oggi è dentro o fuori. O si vince e si ricomincia, o si perde e sarà contestazione.
Il problema è che sembra, almeno alla lettura delle formazioni, che il pubblico non abbia proprio individuato gli stessi colpevoli del boemo. Vengono fischiati alcuni giocatori, applauditi altri. Florenzi su tutti in positivo, Taxidis e Destro su tutti in negativo. Di sicuro la gente non comprende l’esclusione di Osvaldo, che fino ad oggi si era pur dimostrato tra i più in forma del reparto avanzato.

Le dichiarazioni di Zeman nel post Roma Atalanta 2-0

Il mix applausi-fischi lascia spazio a un mutismo che avvolge i primi minuti del match, mutismo che accompagna appunto il sopraccitato striscione. La Roma non fa nulla per far passare l’incazzatura ai propri sostenitori, anzi, per i primi 20 minuti si assiste a un assalto all’arma bianca dell’Atalanta, tra gli occhi ormai nemmeno più increduli degli astanti. Un miracolo di Stek a tu per tu con Denis prima, una traversa clamorosa poi, permettono alla Roma di non andare al tappeto al primo round.

Sarà un caso ma quando si comincia a cantare e a sostenere la squadra, la Roma si tranquillizza un po’ e riesce a prendere le misure all’avversario.
Sale in cattedra El Coco, autore di una prova da applausi, ben supportato dall’intramontabile Capitano e dall’ormai solito Florenzi. Dietro Castan e Marquinhos sembrano funzionare discretamente, e anche Piris viene dipinto dai miei vicini di seggiolino come meno spaesato del solito. Destro invece si danna ma la traversa dice nuovamente di no: a nulla servono cornetti rossi, quadrifogli, zampe di coniglio, santini e ciarpame vario. Sto gol non si ha proprio da fare.

La sfiga nera fortunatamente riguarda solo lui, però, perché la partita cambia radicalmente già qualche attimo prima, quando El Coco la butta dentro in maniera un po’ rocambolesca su assist al bacio del Capitano.

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Si percepisce tutto d’un tratto che questa può essere la domenica giusta per tornare al successo (vi assicuro che non ci avreste puntato una cicca di sigaretta dopo il primo quarto d’ora) e l’esultanza rabbiosa del pubblico lo trasmette inequivocabilmente. Anche nel settore famiglie, tanta gioia per i più piccoli e per i loro accompagnatori che incendiano seggiolini e lanciano bottiglie e fumoni in campo.
Per i restanti 60 minuti si assiste a una netta predominanza romanista, con gli unici nei di Tachtsidis che continua a sbagliare appoggi su appoggi e di Piris, che “sbaglia il fuorigioco” ma viene graziato da un guardalinee distratto dalla figlia di Bernardini (che gli ha lanciato pop-corn per tutta la durata della gara).
Il gol annullato ingiustamente a Denis è l’unica occasione dell’Atalanta in tutto il secondo tempo, mentre la Roma costruisce senz’altro di più, arrivando al raddoppio con Cocoon, che in Curva sembra essere discretamente apprezzato, sebbene si sia visto ancora poco. Arrivati al 70esimo il pubblico comincia a rumoreggiare perché, come al solito, non si scalda nessun giallorosso. “Stai a vedè che questo arriva de novo in fondo senza usà le sostituzioni!”. E invece no. Verso la fine, probabilmente anche per dare lo smacco finale ai senatori rinnegati, entrano personaggi che a quest’ora avrebbero meritato una candidatura all’Hall of Fame come Perrotta e il solito azzeccagarbugli Marquinho. Meglio l’ex Perrotta di Marquinho, il che è tutto dire.
La lezione di pedagogia di Zeman termina quindi nel migliore dei modi. In Curva c’è gente che piange e che si accorge di essersi scordata le parole di Grazie Roma. Non si è più abituati a voltarsi e a veder volti distesi, gente che non vuole scappare da quello stadio che per mesi è stato il nostro calvario. Un “lazio merda” nei tunnel per dimenticare le sofferenze passate e nessuno sta a pensare a come l’avranno presa gli esclusi. A questo punto il treno è questo e sta partendo. Zeman, l’ha lasciato intendere fin troppo bene. Si può ancora salire, la Curva lo ha fatto, ma il tempo dei giochetti e dei capricci è finito. E prima i lor signori se ne renderanno conto e meglio sarà. Per tutti.

Photo Credits | Getty Images

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