Questa mattina il quotidiano “La Stampa” riporta una intervista all’attaccante giallorosso Fabio Borini in vista del match contro la Juventus. Ecco le sue parole:
Facciamo un salto indietro. Lei, 16 anni appena compiuti, viene corteggiato dai manager del Chelsea. E il matrimonio va in porto.
“In una settimana ho cambiato la mia vita. Ho fatto le valigie e sono partito per Londra: i primi sei mesi sono stati duri, non parlavo la loro lingua, io e gli altri stranieri vivevamo un po’ in disparte. Ma nessun sentimento anti italiano, anzi. Non appena ho imparato l’inglese, ero uno del gruppo“.
E’ là che nasce il Borini «rompiscatole»?
“Rompiscatole perché, in allenamento, non avevo paura di duellare con Terry o Lampard. Così cominciò a chiamarmi Ancelotti quando arrivò al Chelsea”.
Rompiscatole solo in campo?
“Terry o Lampard sono due che hanno fatto e stanno facendo la storia del Chelsea. Non ricordo un loro segno di insofferenza quando mi attaccavo ai loro parastinchi per non lasciarli più: eppure ero un ragazzino nemmeno in prima squadra. Da noi è diverso, da noi i più giovani hanno un certo timore nei confronti dei miti: con Terry giocavo a biliardo dopo cena e, a mensa, l’unica differenza con i grandi era che per loro c’era il tavolo in mezzo alla sala”.
Dal Chelsea al Parma, quindi alla Roma. Un percorso all’indietro.
“Nei miei programmi non c’era il ritorno in Italia, ma sono le circostanze a decidere. L’esperienza all’estero mi ha cambiato perché quando entri a contatto con un’altra cultura, interagisci con persone che non sono i tuoi amici di una vita, devi muoverti in ambienti che non conosci, non puoi che crescere in fretta”.
In sette mesi il suo mondo professionale è stato stravolto. Ma di Fabio Borini si dice che sia rimasto il ragazzo della porta accanto.
“Le miei stupidaggini (ride, ndr) le faccio anch’io, ma, sì, è vero, non sono cambiato. E non cambierò mai. Per me fare il calciatore è passione, punto e basta. Da me non vedrete mai un gesto scomposto o una maglia sopra la testa per mostrare una t-shirt: esulto portandomi la mano alla bocca per mimare il coltello fra i denti perché facevo così quando, a Londra, mi tenevano fuori per motivi contrattuali e segnavo con le giovanili. Era un modo per dire alla società che io non mollo mai”.
Chi sono i suoi modelli?
“Del Piero e non lo dico perché domenica sera affronteremo la Juve. Di Del Piero non ricordo mai una parola fuori posto, il massimo. E, poi, c’è Baggio, Roby Baggio”.
Andare lontano, per lei, significa salire sull’aereo per gli Europei.
“Dipende da cosa combinerò con la Roma in queste ultime sei partite. Certo, giocare in Polonia e Ucraina, sarebbe chiudere il cerchio per un anno da favola”.
E magari segnare un gol in finale come fece Delvecchio nel 2000, rete dell’illusione realizzata da uno che, per molti, lei ricorda nel modo di interpretare il ruolo di attaccante.
“Magari… Ma di somiglianze con giocatori del passato me ne hanno trovate decine. Io penso di essere un giocatore veloce, con una buona resistenza alla fatica e, al contrario di quanto si pensava, forse anche con una buona tecnica”.
Juve-Roma, un pronostico?
“Non saprei. Noi vogliamo il terzo posto, ma la nostra stagione non si deciderà a Torino”.
Cosa significa per lei essere un ragazzo normale?
“Il calcio si vive in campo. Ai miei amici di sempre ripeto che a me è mancata la loro normalità di ragazzi e che, questa normalità, devo riprendermela una volta che esco dai ritmi della mia professione. Amo il cinema, i film in inglese, l’atletica e il tennis. Amo la vita di tutti i giorni”.
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