Roma esaltante nel primo tempo; Roma deprimente nel secondo

Il Messaggero, M. Ferretti

La Roma é un mistero buffo, anche se Dario Fo c’entra solo di traverso. Buffo perchà© strano, comico, grottesco, se non addirittura ridicolo. Trovate un altro aggettivo, del resto, per etichettare una prestazione ambigua, contraddittoria come quella di Kharkiv (e fosse stata la prima…)? Roma esaltante nel primo tempo; Roma deprimente nel secondo. Non é una cosa buffa? E, automaticamente, diventano bizzarri anche gli interrogativi che accompagnano una simile impresa.

CHI, COME E PERCHà‰ â€“ Questione di testa, di gambe, di fegato o di cuore? L’impressione che qualsiasi parte o organo del corpo vada bene per spiegare la faccenda va a scontrarsi con l’impossibilità  logica che tutto possa andare bene. Perché, per dirla in maniera facile, gli uomini, sia in campo sia in panchina, che nella prima frazione hanno dato spettacolo contro lo Shakhtar erano gli stessi (e contro lo stesso avversario) che nella seconda parte di gara si sono fatti prendere a pallonate. Non puಠessere, percià², (solo) una questione di gioco. Forse di giocatori sa, magari vulnerabili sul piano fisico con il passare dei minuti. Ma possibile, a proposito, che a metà  febbraio inoltrato la Roma non sia ancora a posto atleticamente?

La soluzione del mistero, forse, sta davvero nella testa degli uomini. «Il calcio non si gioca con i piedi, ma con la testa che muove i piedi», insegnano i vecchi maestri. Giusto. Vero. Cioé, se funziona la testa, funzionano anche i piedi. E su questo siamo tutti d’accordo, o no? Resta da capire, perà², come mai improvvisamente (ma in maniera tristemente continuativa) le teste dei giocatori della Roma vadano in tilt. Basta un minimo intoppo e tutto l’ingranaggio non funziona pià¹. La Roma non va in crisi: esce direttamente dalla partita. Passare dal pro al contro, perdere il controllo di se stessi e della situazione é un attimo. E, allora, le cose sono due: o i giocatori lo fanno apposta (perchà© e contro chi, se mai?) oppure non ce la fanno a non farlo. Non hanno, insomma, la forza mentale per non cadere gi๠nel baratro. àˆ buffo verificare che questo salto verso il basso (e, talvolta, con viaggio di ritorno) sia capitato spesso anche quando la Roma é riuscita a non perdere la partita. Ma i tanti, troppi black out nella ripresa (gli statistici ne hanno contati 8) stanno a confermare che la regola, e non l’eccezione, é ormai quella.

Se la Roma non sa gestire se stessa durante le partite, difficilmente potrà  gestire la partita. Ma il carattere, il coraggio non si possono allenare: o uno ce l’ha oppure niente. Una squadra la puoi migliorare tecnicamente, tatticamente; puoi provare a darle pi๠forza attraverso maggiori conoscenze, ma il cervello non é un muscolo che puoi sollecitare con uno sforzo fisico. C’é bisogno, se mai, di fargli immagazzinare nozioni, conoscenze appunto. Non é assolutamente un caso che le grandi squadre, quelle grandi davvero, siano o siano state composte da giocatori fortissimi (anche) sul piano mentale. Capaci, ad esempio, di sbrigare qualsiasi situazione in qualsiasi momento della gara. «Lavorare, lavorare ancora lavorare: conosco solo questa strada per risolvere i problemi», ripete in continuazione Eusebio Di Francesco. Chiedetevi perchà© lo fa.

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