Olimpico, 31 Maggio. Finalmente, vorrei gridare, in modo esasperato. Finalmente questa stagione triste, amara, cupa, a tratti persino vergognosa, è terminata, senza corpo né anima. Con una sconfitta, mai realmente inutile, ditelo a Garcia. Con nessuna parata di Sorrentino, l’unico giocatore senza voto. Con l’ennesimo possesso palla precario, senza idea. Con la millesima conferenza stampa di Rudi Garcia che aggiunge tutto e niente ad un uomo sempre più controverso, nervoso, palpabilmente confuso con sé stesso e con le sue armi. Voglio dire, la parola è un arma, e come tale va dosata, centellinata, non alimentata per botte e risposte che finiscono inevitabilmente per spaccare a metà l’intero tifo. Il tifo che si scioglie. Il tifo agogna la testa mozzata di qualcuno. Chi vuole Garcia, chi Sabatini, chi Pallotta. Ma il concetto non cambia, non c’è nessuna coesione. E la squadra ne risente, e pure molto.
Perché non gioca da squadra. Non almeno come l’anno scorso.
Sì, senza corpo né anima. E chissene frega della sconfitta, no?
La Roma non è mai Rometta, è sempre grande. Ma qualcosa deve cambiare, rapidamente pure. Perché ogni volta che non c’è un obiettivo prefissato forte e concreto, la squadra, che sia di Rudi Garcia, di Ranieri, di Spalletti, o di tutti gli allenatori che sono passati sotto questo ponte traballante, si spegne, tipo blackout. Non gioca, ma vaga nel campo. Non ci mette quel mordente, quella grinta, quel grugno per vincere i tre punti. Capite? Tutto per tre punti. Tutto per una vittoria. Tutto per dimostrare di essere i più forti.
Sempre.
Ed è qui che la Roma pecca, pure di presunzione, e finché Rudi Garcia penserà più alle sue lotte mentali in conferenza stampa che alla partita, beh tutta Roma non si staccherà mai da quello sfondo grigio, indefinito, sfumato da trofei vinti sempre dagli altri.
Sì, finalmente questo campionato si è concluso. Bene e male. Salvando il salvabile. Ma tant’è, non vorrò mai più vedere una Roma così scialba, senza corpo né anima.